UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«In università per imparare a fare i conti con l’anima»

Don Pierpaolo Zannini: «La presenza cattolica in Bocconi è come un germoglio: cresce lento in vite veloci»
3 Novembre 2022

La chiesa di San Ferdinando troneggia al centro del campus Bocconi, quasi a provocare i “mercanti”: prego, entrate nel tempio, la porta è aperta. «Ogni volta mi stupisco di quanta gente partecipa alla Messa domenicale - sorride don Pierpaolo Zannini, rettore di San Ferdinando e cappellano dell’università -. Anche perché io celebro in modo tradizionale, senza particolari trovate. Ma del resto chi vive e studia qui è abituato a badare alla sostanza...».

Non servono “effetti speciali”, insomma. Per convincere gli studenti a frequentare la Chiesa occorrono soprattutto due cose: «Esserci sempre, anche quando tornano dopo mesi di stage a Londra. E farsi trovare pronti quando ti chiedono di ascoltarli in modo adulto, senza pregiudizi».

Quello della Bocconi è un mondo che va di fretta, costruito sui freddi numeri. Per lo spirito non sembra esserci molto spazio. Ma anche i futuri manager hanno un’anima. Il compito di don Pierpaolo è aiutarla a farsi largo tra bilanci e statistiche. «Questo è un ambiente da popolare senza contrapposizioni - sottolinea -, senza pretendere di risolvere la tensione che c’è con il potere della sfera temporale. Non ci riuscì nemmeno Gesù... Occorre semmai un approccio fluido, per nulla dogmatico. Devi capire le esigenze degli studenti, magari accettando anche di farsi dettare i tempi da loro. Le nostre iniziative nascono così, recependo gli input che partono dal basso. Non c’è mai niente calato dall’alto: non funzionerebbe». Questo è il punto di partenza del ciclo di incontri che si apre stasera (chiesa di San Ferdinando, 19.3020.30), intitolato “DestinAzione. Chi sono io? Pro-vocazioni cristiane”. Attraverso la rilettura di quattro grandi figure bibliche (Abramo, Giuseppe, Paolo di Tarso e Maria di Nazareth) don Zannini proverà a guidare i ragazzi nel discernimento di ciò che conta davvero, per tentare di mettere bene a fuoco «cosa fare da grandi».

«Dietro ogni studente e futuro professionista c’è prima di tutto un uomo che si interroga su se stesso e sul suo domani - sottolinea il cappellano -. Questo porta inevitabilmente ad affrontare anche momenti di crisi: una situazione tipica riguarda l’attrito che si crea tra affetti e carriera. Da qui si parte per andare a lavorare nel mondo. Ma scegliere non è facile: come conciliare il progetto di mettere su famiglia con l’ambizione di andare a ricoprire ruoli di vertice in un altro Paese, magari in un altro continente? Un altro motivo di riflessione è l’identità di genere: tocca non solo chi non crede, ma anche molti cattolici. Sono questioni che non puoi risolvere con una predica. Anche perché molti di loro non conoscono la figura del prete: non hanno frequentato l’oratorio, e se l’hanno fatto magari non sempre hanno trovato punti di riferimento». In un calderone dove ribollono culture, etnie e religioni differenti, la sfida consiste nel saper aggiungere al già ricco menù gli ingredienti giusti: «La formazione dell’individuo - riflette don Zannini - ha varie dimensioni, compresa quella della trascendenza. Non se ne può fare a meno. Tocca a noi stimolarla, sapendo che come cattolici scontiamo un grande limite: fatichiamo a lasciare un segno nella società in cui viviamo. Prendiamo l’Economy of Francesco. Sono principi bellissimi, che entusiasmano gli studenti. Ma poi mi chiedono: fammi un esempio. La loro critica più grande è che non vedono modelli concreti di applicazione».

Il confronto a tratti è impegnativo, ma proprio per questo molto fecondo. «La nostra presenza è un piccolo germoglio, mi piace vederla così. È un seme che qualcuno raccoglie e fa crescere dentro di sé. Magari lentamente, in una vita e una carriera che procedono molto rapidamente. Ma in questo vedo una possibilità di annuncio. Sì, la Chiesa può avere il suo posto, a patto che sappia adattarsi. Senza snaturarsi, sia chiaro». Per far breccia è fondamentale mettersi nei panni dei giovani. Anche letteralmente. «L’abito talare? Lo indosso di rado, solo per le cerimonie ufficiali», ammette don Zannini. Anche questo può essere un modo per ridurre le distanze. «Dopo il Covid hanno ancora più fame di relazioni autentiche». Basta passare dal bar per capirlo. Da un tavolo parte l’invito: «Dai don, siediti. Bevi qualcosa». La cameriera, sorniona, passa e rilancia: «Non dovete indurlo in tentazione...». Don Pierpaolo incassa con un sorriso dei suoi: «Bevo solo acqua, lo sapete...». La coerenza, ecco l’arma segreta.

Marco Birolini

Avvenire, 2 novembre 2022