UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“In ucraino si dice così”

L’Università di Bergamo crea un manuale ad hoc. L’idea di due docenti dell’ateneo
6 Maggio 2022

C’è l’alfabeto, c’è la grammatica di base, ci sono le parole di uso comune e le frasi necessarie per costruire un’interazione minima ma fondamentale. Ma nel manuale per l’accoglienza degli esuli ucraini creato dall’Università degli Studi di Bergamo c’è soprattutto la volontà di costruire comunità oltre le barriere linguistiche. Una settantina di pagine ordinate in sezioni tematiche, con illustrazioni, traslitterazioni e tutto quanto serve per rendere più immediata la comunicazione tra culture diverse: è il volume curato dalla professoressa Maria Chiara Pesenti, ordinaria di Slavistica, e da Liana Goletiani, associata di Slavistica, già in distribuzione da alcuni giorni nelle tante realtà bergamasche impegnate quotidianamente nell’accoglienza di chi qui ha trovato riparo dalla guerra.

«L’idea è nata in emergenza – spiega la professoressa Pesenti, che all’Università di Bergamo insegna Lingua e cultura russa –. Quando tutti abbiamo saputo che sarebbero arrivate molte persone dall’Ucraina, abbiamo pensato che potesse essere utile creare un manuale che favorisse la comunicazione. Nel 2008 l’associazione 'Solidalmente', con una nostra laureata, Sonia Ceruti, aveva realizzato un manuale simile di italiano-russo per aiutare i bambini delle aree vicino Chernobyl che periodicamente arrivano a Bergamo per trascorrere un periodo di tempo: abbiamo tratto ispirazione da quella bella iniziativa». Ne è uscito un testo «snello, utilizzabile sia da parte italiana sia da parte ucraina – prosegue la docente –. La realizzazione del manuale si è conclusa a fine aprile, lo abbiamo subito inviato a tutti quanti ce lo hanno richiesto: siamo in contatto con gli istituti comprensivi, con le comunità che fanno accoglienza, con i quartieri e con le singole famiglie. La diffusione è stata davvero velocissima».

Bambini e adulti: il manua-letto ha un taglio trasversale, capace di adattarsi alle diverse esigenze di chi è arrivato in Italia conoscendo solo l’ucraino (o al massimo il russo, non l’inglese). «La situazione è molto differenziata, poiché sono arrivate persone di tutte le età. A livello locale sono stati avviati dei corsi di alfabetizzazione, in alcuni casi la conoscenza della lingua può essere utile anche per i primi progetti di inserimento lavorativo che si stanno realizzando – riflette la professoressa Pesenti – . L’inserimento dei bambini più piccoli nelle scuole è stato fatto con grandissima attenzione». Sono circa quattromila i profughi ucraini giunti in provincia di Bergamo, in oltre due mesi di conflitto.

Il mondo dell’università – l’ateneo bergamasco si è impegnato sin da inizio emergenza aderendo a una raccolta fondi e promuovendo anche un ciclo d’incontri e conferenze – si conferma un ponte d’integrazione. Anche a Rota Imagna, per esempio, in quello spicchio di valle bergamasca dove nelle scorse settimane hanno trovato riparo oltre cento piccoli orfani ucraini, «alcuni nostri studenti stanno dando supporto con attività di tirocinio – spiega Maria Chiara Pesenti – per l’alfabetizzazione e la mediazione linguistica e culturale. Sono esperienze di generosità e di accoglienza, di comprensione reciproca: parlare la stessa lingua aiuta a capire il modo in cui si vede il mondo. Molti nostri studenti si sono offerti volontari per diverse attività: c’è una lunga tradizione di sensibilità da parte dei giovani e dell’università, e in particolare un tratto comune legato all’attenzione per la lingua e la comunicazione. Perché, in fondo, la lingua è vita».

Luca Bonzanni

Avvenire, 5 maggio 2022