UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

In troppi casi la scuola diventa un disagio

In classe si finge spesso che le famiglie siano tutte uguali. Non è così
24 Ottobre 2022

«A scuola spesso si finge che le famiglie di appartenenza siano tutte uguali. E che le storie dei bambini con mamme e papà naturali siano identiche a quelle di chi è stato adottato, affidato o vive in comunità. Si pensa insomma che le vicende personali non siano così significative, perdendo con questa semplificazione un’occasione di crescita personale, emotiva, culturale»: Frida Tonizzo, presidente dell’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), non ha mezze misure nel segnalare che la scuola italiana troppo spesso è in difficoltà di fronte al bisogno di trovare le parole e i toni giusti per parlare di temi sensibili come l’adozione, l’affidamento dei minori, e in generale la genitorialità. «Sono argomenti difficili da trattare – spiega la presidente dell’associazione torinese - perché considerati temi “caldi” a tal punto che si ha paura, parlandone, di sbagliare o di violare la privacy del minore e della sua famiglia». Per questo, per dare un impulso a insegnanti ed educatori ad approfondire cosa comporti la diversità nel contesto scolastico, senza paure e remore, si terrà venerdì a Milano il convegno “Tutti insieme a scuola” (in presenza e online; info sul sito: www.anfaa.it), dalle 9.30 alle 16.30, presso l’auditorium Don Alberione, in via Giotto 36, che vedrà la presenza di esperti e docenti. Si parte dal presupposto che conoscere meglio le “Linee di indirizzo” studiate proprio per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati e di chi vive fuori dalla famiglia d’origine (del 2015 e del 2017) può aiutare ad affrontare meglio le singole situazioni, spesso complicate.

«I minori accolti al di fuori della famiglia d’origine risultano nonostante i progressi importanti effettuati durante l’accoglienza ragazzi a cui dare particolare attenzione a scuola, curando l’accoglienza, l’inclusione in classe, l’attenzione agli aspetti emotivo-affettivi molto incidenti, la collaborazione con famiglia e/o con gli educatori», mette in guardia Anna Guerrieri, pedagogista, che interverrà al convegno e che anticipa alcuni dati. Per capire come fosse la situazione reale - spiega la docente dell’università dell’Aquila - ci siamo basati su una ricerca realizzata dal dipartimento di Filosofia e Scienze dell’educazione dell’Università di Torino durante l’anno scolastico 2021-2022, sui minori in affidamento familiare e accolti in struttura. Gli esiti hanno mostrato purtroppo una percentuale elevata di difficoltà di apprendimento dei minori in ambedue le condizioni, con una prevalenza in comunità. Problemi importanti di apprendimento sono individuati dall’88% degli educatori e dal 66% delle famiglie affidatarie. In comunità si rileva il 24% di difficoltà cognitive aspecifiche (contro un 10% in affido); il 14% di disabilità (11% in affido), l’8% di difficoltà linguistiche (1% in affido), il 20% di Dsa (19% in affido), il 22% di difficoltà emotivo-motivazionali (24% in affido).

Ma come fare per aiutare questi minori prima che il disagio scolastico o di apprendimento si tramuti in qualcosa di irreversibile? La soluzione è di nuovo a scuola. «Spesso gli insegnanti sono tra i primi a venire a conoscenza di certe situazioni familiari e sociali che coinvolgono i loro allievi – ragiona Ciro Cascone, procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Milano che interverrà proprio sul “segnalare per tutelare” - e la scuola in molti casi è l’unico ambiente extrafamiliare che i ragazzi frequentano regolarmente, e dove passano moltissimo tempo, soprattutto alle elementari. I docenti, con le loro “antenne” dovrebbero essere pronti e preparati a prestare la massima attenzione ai segnali di disagio e di sofferenza che provengono dagli alunni, senza girare lo sguardo altrove. Sappiamo che è un compito difficile e delicatissimo, per il quale occorrono preparazione e una formazione adeguata». Per il magistrato minorile la formazione necessaria non è solo strettamente professionale, ma «occorre una formazione personale, “profonda”, anche perché spesso ciò che si “intuisce” fa talmente male che non lo si vuole vedere. Non è compito dei docenti “fare verifiche” o “acquisire prove”, questo compito spetta ad altri. Compito dei docenti è quello di prestare molta attenzione, favorire un clima di fiducia e di confidenza, affinchè l’alunno senta che a scuola può parlare. Anche quando i segnali sono deboli. Purtroppo è proprio quando succedono i fatti più gravi che i bambini/ragazzi non ne parlano con nessuno».

Daniela Pozzoli

Avvenire, 23 ottobre 2022