Basterà innalzare l’obbligo scolastico ai 18 anni o ridurre di un anno il percorso delle superiori per sconfiggere il tasso di abbandono scolastico? Ovviamente ci troviamo davanti a proposte più o meno formalizzate e la domanda può apparire provocatoria, ma la questione è tutt’altro che marginale. Attualmente l’assolvimento di quello che un tempo veniva chiamato 'obbligo scolastico' si conclude ai 16 anni di età dello studente e della studentessa. Ma esiste già ora il diritto-dovere dell’istruzione fino ai 18 anni, un traguardo ideale a cui tendere prima dell’ingresso nel mondo del lavoro o proseguire gli studi all’università. Ma per centinaia di adolescenti quella meta resta solo un sogno.
Secondo gli ultimi dati forniti dal ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, nel corso di un’audizione in Parlamento il 14,7% degli studenti smette il percorso di studi prima di aver conseguito il diploma superiore o una qualifica professionale. Anche se in calo rispetto al 20,8% registrato nel 2006, resta un tasso elevato per un Paese industrializzato e lontano dalla soglia del 10% indicato come obiettivo per il 2020 dall’Unione Europea. E la dispersione scolastica non riguarda soltanto la scuola superiore. Anche alle medie vi è una percentuale – per altro bassissima – dello 0.9 nazionale di studenti che abbandonano senza neppure la licenza media, ma avendo magari compiuto i 16 anni. Più consistente la percentuale nelle superiori dove si giunge, appunto al 14,7%. Ad abbandonare sono più i maschi delle femmine (16% contro il 12%), i ceti più bassi o con scarsa scolarizzazione familiare, spesso studenti di cittadinanza non italiana. Insomma il raggiungimento dei 16 anni per 15 studenti su cento rappresenta l’occasione per abbandonare i banchi di scuola. Del resto l’innalzamento dell’obbligo (che una volta si concludeva almeno con il conseguimento della licenza media) non prevede il raggiungimento di un traguardo certificato: si compiono i 16 anni e tanto basta.
Anche se non possiamo parlare di fuga dalla scuola, di certo questo fenomeno è un campanello di allarme per l’intero sistema scolastico. Sotto esame finisce, per esempio, la capacità di guidare gli studenti nel loro processo di scelta dei percorso di studi, soprattutto nel passaggio dalle medie alle superiori. Sebbene i programmi ministeriali prevedano una modalità orientativa nell’ultimo anno delle medie inferiori, poco viene fatto, lasciando spesso le famiglie da sole in questo passaggio cruciale per la vita dei figli. Esistono a dire il vero strutture di orientamento presso le università (ad esempio l’Università Cattolica) o centri specializzati, ma non sempre le famiglie lo sanno o pensano di potervi ricorrere. Neppure gli open day presso gli istituti superiori sembrano in grado di aiutare gli aspiranti studenti a compiere scelte ponderate e consapevoli dei percorsi di studi che stanno per intraprendere. Meccanismo che si ripropone – anche nei suoi limiti – cinque anni dopo quando gli studenti giunti alla maturità dovranno scegliere quale facoltà universitaria eventualmente intraprendere.
Ma non solo un orientamento 'zoppicante' è sul banco dei possibili imputati. A volte la stessa scuola – o meglio il modo di procedere nelle lezioni – a creare disagio nello studente, non riuscendo a dare risposte positive. Ci sono infatti studenti che hanno scarsi risultati nell’approccio solo teorico delle lezioni, mentre un approccio pratico risulta più favorevole alle loro capacità di apprendimento. In questo i percorsi di formazione professionale possono testimoniare molti casi di studenti usciti dal percorso scolastico classico recuperati alla voglia di studiare. Una metodologia ben consolidata, con risultati certificati e certi, ma nonostante questo la formazione professionale viene considerata come opzione residuale dopo aver scorso tutti gli altri corsi di studi scolastici. Pregiudizi duri a morire, che dipingono questo percorso di studi come riservato a chi 'va male a scuola' o, peggio, 'non vi è adatto'. L’alto tasso di successo scolastico che la formazione professionale fa registrare è la miglior risposta ai dubbi, anche se fatica a farsi strada anche tra i genitori degli studenti giunti in terza media.
Enrico Lenzi
Avvenire NOI Famiglia e Vita, 17 settembre 2017