UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«In ascolto dei ragazzi: ecco la sfida»

Le voci di chi sale in cattedra ogni giorno. Parlano i docenti: in classe anche alcuni musulmani. Il Vangelo è parte della nostra cultura
5 Gennaio 2022

Docenti «professionalmente qualificati», ma anche «testimoni credibili di un impegno educativo autentico». La definizione che la presidenza della Cei fornisce dei docenti di religione cattolica nella scuola italiana lascia un po’ senza fiato anche i diretti interessati. «Leggendo quel paragrafo mi è venuta un po’ la pelle d’oca» ammette con un sorriso Claudio Ferrari, dal 1986 docente di religione a Piacenza, in un istituto tecnico industriale (ex Itis). Ma sa bene che «i nostri ragazzi hanno bisogno di incontrare adulti che veramente lo siano e con i quali immaginare il loro futuro, pur nella libertà delle scelte personali». Nelle sue classi deve affrontare situazioni diversificate. «Nel percorso tecnico si avvale dell’insegnamento circa il 60%, mentre in quello professionale abbiamo pochissimi casi di studenti che scelgono l’Irc (Insegnamento religione cattolica)». Eppure a sorpresa tra i suoi studenti vi sono anche cristiani non cattolici e persino qualche musulmano. «Mostrano nel concreto che frequentare questo insegnamento significa poter conoscere la cultura e la storia del nostro Paese – aggiunge il docente piacentino –, ma nello stesso tempo comprendono che quest’ora diventa anche un luogo di incontro e confronto tra diversità».

Un percorso, sottolinea Flavia Montagnini, docente Irc in un istituto tecnico di Udine anche lei dal 1985, «che fa bene anche ai ragazzi che provengono dalla tradizione e dalla formazione cattolica. Forse non lo percepiscono subito, ma nel corso dei cinque anni di scuola superiore, l’Irc permette loro di allargare il proprio pensiero». Ma anche di «rafforzare le proprie radici», perché altrimenti non scaturisce alcun dialogo o confronto con chi proviene da culture diverse o professa un’altra religione. Anche la professoressa Montagnini concorda sul ritenere impegnative le parole del messaggio della presidenza Cei, ma «le condivido in pieno, perché penso che il mio impegno educativo parta proprio dalla mia testimonianza». E per farlo «occorre saper ascoltare, cercare di capire, far conoscere i contenuti» il tutto «con grande impegno e professionalità, perché le lezioni non si possono improvvisare, come dico agli aspiranti docenti di Irc di cui seguo la formazione insegnando loro didattica».

Che a «fare la differenza è l’insegnante» ne è convinta anche Barbara Condorelli, in cattedra da 33 anni, di cui la metà in un istituto tecnico e l’altra metà in un liceo classico ad Acireale, in Sicilia. Nell’isola la percentuale di chi si avvale dell’Irc «sfiora il 95% in tutte le scuole», ma tanta partecipazione «non sempre riflette una conoscenza approfondita dei valori. Certo ci sono ragazzi che frequentano la parrocchia o gruppi associativi cattolici, ma non si evidenziano subito in classe». Ecco allora che è l’insegnante a fare la differenza per far crescere la qualità della partecipazione «e soprattutto per intercettare le domande dei ragazzi stessi». Domande che «nel corso del tempo sono cambiate». In particolare a imporsi sono temi legati alla sessualità e alla fluidità di genere. «Spesso si sentono soli ad affrontare questi temi», commenta la docente siciliana che aggiunge: «Chiedono di essere ascoltati, di affrontare questioni che sono vicine al fatto religioso e alla loro vita».

E se a ricevere quelle domande è un docente di religione, che è anche un sacerdote, «la responsabilità aumenta ulteriormente», spiega don Fabio Landi che insegna in un liceo classico di Milano ed è anche responsabile della pastorale scolastica dell’arcidiocesi ambrosiana. «A un primo impatto, a dire il vero, l’essere docente e sacerdote viene scisso dai ragazzi che guardano al primo aspetto. Ma con il passare del tempo, e con il valore della testimonianza, emergono a volte richieste personali che coinvolgono anche il mio essere sacerdote». Anche per questo don Landi parla di «grande responsabilità nel cercare di rendere concrete quelle parole scritte nel messaggio della presidenza Cei. Non siamo erogatori di risposte, ma dobbiamo aiutare i nostri studenti a far emergere in modo adeguato le domande, anche per scoprire che spesso sono condivise con gli altri. Un passaggio di grande importanza: scoprire che un problema non è soltanto tuo, ma è vissuto da altri, permette di guardarlo con occhi differenti e sentirsi meno solo».

Enrico Lenzi

Avvenire, 4 gennaio 2022