Quello dell’ascolto è tema particolarmente significativo oggi, in un mondo in cui continuiamo parlare solo noi adulti, o tra adulti, dei bambini e non sappiamo ascoltarli veramente. Parliamo sempre dei bambini e molto raramente ci concediamo il tempo e la sensibilità per parlare con loro e, quindi, per ascoltarli.
È molto diffusa la convinzione che la relazione educativa parta dalla parola, ma in realtà l’atto educativo originario è quello dell’ascoltare. L’ascolto viene prima della parola e avvia ogni processo di comunicazione autentica.
Ai bambini si intima sempre di ascoltare e d’imparare ad ascoltare, ma molte volte noi adulti per primi continuiamo a parlare loro e non ci mostriamo particolarmente disposti ad ascoltarli. Eppure, l’ascolto è la porta di accesso al mondo del bambino. L’ascolto, quindi, ci permette di stare 'dalla parte' dei bambini e di riconoscerli come protagonisti dei loro percorsi di crescita, in relazione con sé, con gli altri, con il mondo. Le parole dei bambini ricevono valore nella misura in cui vengono accolte e riconosciute, attraverso l’incontro con qualcuno disposto ad ascoltare. Attraverso una pedagogia dell’ascolto, è possibile scoprire che dietro i comportamenti e le parole infantili ci sono competenze, opinioni, in altri termini teorie sulla vita e sul mondo. In questa prospettiva, come possiamo promuovere una vera pedagogia dell’ascolto? Certamente non esercitando solo l’atto fisico dell’udire o rimanendo in passivo silenzio. L’ascolto non è un gesto privativo, ossia un non-parlare; bensì un processo attivo: un saper ascoltare, accogliere, comprendere, considerare.
Questo significa che, tanto in famiglia quanto nei contesti educativi per l’infanzia, la posta in gioco non è quella di trovare gli approcci e le tecniche educative più efficaci per realizzare l’ascolto, ma, più profondamente, quella d’inscrivere il processo di crescita dei bambini e delle bambine in una dimensione relazionale. Questa sfida ci spinge a tenere sempre vivi alcuni quesiti: Perché è importante l’ascolto? Perché ascoltare i bambini? Cosa ci dicono? Come promuovere una cultura dell’ascolto dell’infanzia?
La strada per mettere al centro i bambini e conoscerli realmente è quella d’imparare a porsi in ascol- to dell’infanzia, assumendo un atteggiamento di ricerca e lasciandosi interpellare. Ciò che permette di farsi strada fra le precomprensioni adulte, ponendo effetti-vamente al centro il bambino, è proprio l’atto dell’ascoltare. Adottare una pedagogia dell’ascolto significa pensare al bambino come un soggetto con una propria storia e con un bagaglio di competenze che questa storia, seppur breve, ha contribuito a far sviluppare. Non sostituirsi ai bambini ma stare loro accanto permette di osservarli, sostenerli, incoraggiarli, affinché si esprimano secondo le proprie possibilità e i propri mezzi.
Si tratta di cambiare postura educativa: bisogna disporsi ad ascoltare i bambini e non solo a dare loro risposte predeterminate, contesti già prestabiliti, attività predisposte. Le aspettative preordinate rischiano di ostacolare la realizzazione delle autentiche potenzialità dei bambini, dei loro bisogni, della loro unicità e quindi di deformare le pratiche educative stesse. La pista da seguire è quella del decentramento, che ci porta a fare un passo indietro, non per abdicare alla funzione educativa adulta, ma per risignificarla nel rispetto dell’infanzia. Ascoltare un bambino può dare all’adulto la forza di abbandonare gli automatismi e scardinare pratiche abitudinarie eccessivamente adultocentriche, tollerando anche l’incertezza e il limite del non-sapere.
L’ascolto, pertanto, guida anche noi adulti verso un ripensamento, sollecitandoci a intravedere nuove risposte, rendendoci presenti ma non invadenti, responsabili ma non iperprotettivi. Porsi in ascolto del bambino significa avviare un processo di ricerca e di riflessività, che fa nascere domande, solleva dubbi, mette in discussione l’ovvio. In altri termini, ci spinge ad andare al di là del confine rassicurante delle risposte preconfezionate, delle ricette, delle regole valide per tutti, nonché del sapere degli 'esperti', per mettersi piuttosto alla ricerca dei bisogni reali dell’infanzia.
Ascoltare significa, inoltre, stare in contatto anche con la parte emotiva della vita del bambino. Certamente non è facile ascoltare emozioni e vissuti, spesso intensi e travolgenti, ma il bambino e la bambina ne hanno bisogno per riuscire ad entrare in sintonia con i propri vissuti. Connettersi con questa parte emotiva è una via privilegiata per conoscere i bambini, ma anche per permettere ai bambini stessi di conoscersi. Essi porteranno con sé ciò che di loro accogliamo, ciò che siamo disposti a tener dentro, facendo loro posto nei nostri pensieri e nel nostro cuore.
Attraverso l’ascolto ci si presenta come adulti affidabili. I bambini hanno bisogno di certezze, ma non certezze statiche, che derivano da verità preconfezionate e risposte sempre pronte. La fonte di tutte le certezze è la presenza adulta, ossia la presenza certa della relazione, che genera senso di appartenenza.
Monica Amadini, Direttrice del Centro Studi di pedagogia della famiglia e dell’infanzia Università Cattolica Brescia
Avvenire, 21 giugno 2022