UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il vaccino oppure la Dad? Falsa alternativa per la scuola

Le evidenze scientifiche al momento consigliano prudenza nelle dosi ai piccoli e generosità verso i Paesi poveri
30 Luglio 2021

Il vaccino funziona! Sono tante oramai le evidenze che mostrano come il vaccino riduca significativamente la malattia e la mortalità per Covid-19. Anche gli studi post-marketing hanno mostrato una grande efficacia nel ridurre il carico ospedaliero e nel ridurre, anche se in modo meno rilevante, i contagi. Proprio per questo va somministrato prioritariamente a chi e dove serve e non può essere usato come ricatto per la scuola in presenza. Piuttosto che concentrarsi sul 'vaccinare tutti' è importante vaccinare chi è maggiormente a rischio per età o patologie concomitanti o è esposto a situazioni maggiormente a rischio (per esempio, il personale sanitario).

Il vaccino è utilissimo come protezione individuale per le persone avanti con gli anni, ma il rapporto rischio-beneficio diminuisce sempre più nei giovani. Quando si dice 'vacciniamo tutti' bisogna considerare che non tutti sono uguali, non tutti corriamo gli stessi rischi. Dei pazienti deceduti in Italia, l’85,8% aveva più di 70 anni, il 9,9% tra 70 e 60 anni, il 3,3% tra 60 e 50 anni, lo 0,8% tra 50 e 40 anni e solo lo 0,2% (296 pazienti) sotto il 40 anni, considerando anche che oltre metà delle persone decedute in questa fascia di età aveva importanti patologie pregresse (fonte: Iss). Anche recentemente in un editoriale su 'Nature' si ribadisce che i decessi tra i giovani per Covid sono «incredibilmente rari».

Nel periodo Marzo 2020-Febbraio 2021 sono decedute 3.015 persone delle oltre 12 milioni sotto i 18 anni nel Regno Unito, di cui solo 25 (lo 0,8%) a causa di patologia Covid correlata. L’Istituto Superiore di Sanità indica 27 decessi nell’arco temporale da marzo 2020 al 26 maggio 2021. Anche se il dato cumulativo su ricoveri e terapie intensive non è disponibile, in corrispondenza del picco di contagi nel 2021, l’8 marzo, 21 ragazzi di età compresa tra 0 e 19 anni (su 10,5 milioni) erano ricoverati in terapia intensiva (1 su 500 mila), mentre 368 erano ricoverati in reparto ordinario (1 su 29mila).

Proprio per questi motivi il Comitato congiunto per le vaccinazioni e le immunizzazioni (Jcvi) in Inghilterra dichiara che, date le evidenze scientifiche attuali, non si può consigliare una vaccinazione di massa nei giovani perché non si può garantire che nei bambini e negli adolescenti i benefici della vaccinazione Covid-19 superino i potenziali rischi. Anche il Robert Koch Institut per la fascia di età tra i 12 e i 17 anni consiglia il vaccino solo ai soggetti con malattie pregresse. Si invoca cautela rispetto alla vaccinazione di massa nei giovani, per via della mancanza di dati consolidati sui rischi, anche perché secondo i dati del Koch Institut quest’ultima non avrebbe un impatto rilevante sull’andamento dei contagi. Come il Koch in Germania, anche il Jcvi in Inghilterra consiglia la vaccinazione con Pfizer ai giovani più a rischio e, precisamente, «a ragazzi dai 12 ai 15 anni con gravi neurodisabilità, sindrome di Down, immunosoppressione e difficoltà di apprendimento multiple o gravi». Secondo le linee guida del Cdc i bambini e adolescenti a maggior rischio di malattia grave correlata a Covid-19 sono quelli con condizioni genetiche, neurologiche, metaboliche o con malattie cardiache congenite con obesità, diabete, asma o malattia polmonare cronica o immunodepressi.

Secondo la Jcvi anche i giovani dai 12 ai 17 anni che vivono con una persona immunodepressa dovrebbero ricevere il vaccino al fine di proteggere indirettamente i familiari conviventi che sono a più alto rischio di malattia grave Covid-19 e/o possono generare una risposta immunitaria non completa alla vaccinazione. In generale, sulla base delle evidenze scientifiche attuali, non c’è motivo di consigliare la vaccinazione ai minori al di fuori di questi gruppi. I dati sulla sicurezza dei vaccini nei giovani adulti sono attualmente limitati, ma ci sono state segnalazioni di rare forme di miocardite (infiammazione del muscolo cardiaco) e pericardite (infiammazione della membrana intorno al cuore) in seguito all’uso dei vaccini Pfizer e Moderna in milioni di soggetti. La vigilanza post-marketing delle vaccinazioni è iniziata da poco; le informazioni su eventi rari ma pericolosi si potrebbero presentare nel corso degli anni. L’approvazione per uso emergenziale da parte della statunitense Fda per Pfizer è basata su circa 1.000 giovani e quindi le informazioni di sicurezza che se ne possono dedurre non possono escludere eventi avversi rari, con un’incidenza inferiore a 1/500. La conclusione a cui è giunta la Jcvi è che fino a quando non saranno disponibili e valutati più dati sulla sicurezza è preferibile un approccio precauzionale. (...)

Molti sostengono che vaccinare i giovani sia strategico ed è essenziale per la riapertura in sicurezza del prossimo anno scolastico. Tuttavia, da vari studi pubblicati in Italia e all’estero e dagli screening effettuati, sappiamo che le scuole rappresentano uno dei luoghi più sicuri. Si stima che sotto i 20 anni la suscettibilità all’infezione sia circa la metà rispetto a chi ha più di 20 anni. In svariate pubblicazioni scientifiche si è visto che i giovani si infettano meno e conta- giano meno degli adulti. Insomma: non sono più accettabili ricatti rispetto alla scuola. L’istruzione in presenza deve essere considerata un bene di prima necessità. Perché se c’è una cosa che è apparsa evidente in tutto il mondo è l’inadeguatezza delle lezioni online, da tutti i punti di vista, educativi e di salute. Per questo l’Oms ha sottolineato recentemente l’importanza della salvaguardia dei livelli di istruzione e del benessere sociale e mentale degli studenti, la presa in carico degli scolari più vulnerabili, il coinvolgimento degli studenti in tutte le decisioni e il mantenimento delle scuole aperte.

Nell’anno scolastico 2020-2021 abbiamo assistito alla più grande interruzione dell’istruzione della storia umana. Ora abbiamo le prove e gli strumenti per garantire che i bambini e i giovani possano tornare a scuola. Anche i Cdc statunitensi (Agenzia Federale del Dipartimento Salute) hanno ribadito che l’indisponibilità di spazio sufficiente a mantenere il distanziamento non deve essere motivo di riduzione delle presenze: in quei casi si dovrebbero potenziare tutte le altre misure di sicurezza. Le stesse prove invalsi in Italia hanno mostrato che la didattica a distanza (Dad) ha peggiorato una situazione che era già critica e ha comportato un generale, rilevante abbassamento delle competenze in particolare per italiano e matematica.

A livello nazionale il 44% degli studenti all’ultimo anno delle superiori non raggiunge «risultati adeguati» in italiano (+9% rispetto al 2019), percentuale che sale al 51% in matematica (+9% rispetto al 2019). In tutte le materie le perdite maggiori di apprendimento si osservano in modo molto più elevato tra gli allievi che provengono da contesti socio-economico-culturali più in difficoltà, con percentuali quasi doppie tra gli studenti provenienti da un contesto svantaggiato. Al sud Italia per quanto riguarda l’italiano, gli studenti che non raggiungono la soglia minima di competenze in Italiano sono il 64% in Campania e Calabria, il 59% in Puglia, il 57% in Sicilia, il 53% in Sardegna e il 50% in Abruzzo. Mentre per la matematica, il 73% in Campania, il 70% in Sicilia e il 69% in Puglia. La scuola in presenza preserva la salute dei giovani e il futuro del Paese, forse anche più del vaccino.

Sara Gandini, epidemiologa e biostatistica

Daniele Novara, pedagogista

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Avvenire, 30 luglio 2021

(foto Romano Siciliani)