UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Il titolo di studio vale la scuola»

Agesc: sempre attuale la lezione di Einaudi e Sturzo
18 Luglio 2020

Abbracci, strette di mano, lacrime: sono le immagini che quest’anno non si sono viste finiti gli esami e la consegna del titolo di studio che vale cinque anni di fatica. L’Agesc ha sempre disconosciuto il suo valore legale già dal ‘97. «L’abolizione del valore legale dei titoli di studio: rappresentano una valutazione degli alunni totalmente insignificante, sono per i docenti un rito frustrante, rappresentano una spesa totalmente improduttiva e deresponsabilizzano la scuola che rilascia attestati di cui non è responsabile; essi servono soltanto al mantenimento di un sistema di potere e di una pletora di interessi ingiustificati». Osservazioni ancora di profonda attualità. Quella impostazione fu il prosieguo di considerazioni fatte da insigni politici, come Luigi Einaudi e Luigi Sturzo. «Il valore legale del titolo di studio – secondo Luigi Einaudi – è una finzione:.... Il titolo di diploma o di licenza non ha altro contenuto se non quello dell’“opinione”. Basta far appello alla verità, la quale dice che la fonte dell’idoneità non è il sovrano o il popolo o il rettore o il preside; non è la pergamena ufficiale. Ogni uomo ha diritto di insegnare e di affermare che il suo scolaro ha profittato del suo insegnamento. Giudice della verità della dichiarazione è colui il quale intende giovarsi dei servizi di un altro uomo, sia questi fornito o non fornito di dichiarazioni più o meno autorevoli di idoneità. Le persone o gli istituti i quali, rilasciando diplomi, fanno dichiarazioni in merito alla dottrina teorica od alla perizia pratica altrui godono di variabilissime reputazioni, hanno autorevolezze disformi l’uno dall’altro».

«Ogni scuola – secondo Luigi Sturzo – deve poter dare i suoi diplomi non in nome della Repubblica, ma in nome della propria autorità; sia la scoletta sia l’università: il titolo vale la scuola. Se tale scuola ha una fama riconosciuta, una tradizione rispettabile, una personalità nota nella provincia o nella nazione, o anche nell’ambito internazionale, il suo diploma sarà ricercato; se, invece, è una delle tante, il suo diploma sarà uno dei tanti». Dare al titolo di studio il valore della scuola, significa la sostituzione dell’obbligo all’attestato legale, con il riconoscimento qualitativo della singola scuola, sia statale che non statale. Mediante l’accreditamento qualitativo, verrebbe garantita la libertà di educazione e di insegnamento, responsabilizzerebbe maggiormente le famiglie e accrescerebbe la dignità professionale degli insegnanti, attivando una valutazione degli allievi in entrata nei vari corsi successivi e nelle successive attività professionali e non in uscita mediante esami di Stato che non sono in grado di assicurare l’effettiva valenza degli studi fatti. Ciò riconoscerebbe appieno il pluralismo culturale insito nella società, e infine, attribuirebbe allo Stato la sua giusta funzione che è quella di controllo, della garanzia e del sostegno,

in un contesto sussidiario attivante la vera libertà dell’arte e della scienza, e dell’autentico libero insegnamento. Così si costruisce una scuola libera, attenta al bisogno della persona umana nel suo contesto familiare e sociale. Una scuola che sia esperienza viva, in grado di opporsi, nel cuore dei giovani, all’invasione del nulla. Questo comporta la necessità della libertà di scuola (statale e non statale che sia) e di una effettiva libertà di scelta educativa, la cui richiesta è quindi traguardo ineludibile per il bene comune: «Non combattiamo questa battaglia per un privilegio o per demagogia, combattiamo per la giustizia e per la libertà».

Avvenire, 17 luglio 2020