Caro direttore, in occasione della Notte nazionale del Liceo Classico, domani, venerdì 17 gennaio gli studenti della Quinta A Liceo Classico Carducci-Ricasoli di Grosseto, faranno una lettura drammatizzata di Medea di Euripide con la traduzione di Bianca Maria Mariano. È il risultato di un laboratorio voluto dalla professoressa Rosanna Liberati che ha scelto di dedicare parecchie ore di Greco a questo progetto, chiedendo a me di condurlo. Una premessa. Da alcuni anni insegno Storia dell’Arte al Liceo Scientifico (a Grosseto da 2 anni), ma prima di allora mi sono occupato principalmente di Teatro e Cinema. Sono convinto che l’urgenza di questo nostro tempo, l’Innominabile Attuale come lo ha definito Roberto Calasso, sia la Formazione, il bisogno di educare, trar fuori, condurre.
Lavoro nella scuola da troppo poco tempo, ma è bastato per capire che stiamo togliendo ai nostri ragazzi il coraggio di pensare, gli stiamo sottraendo gli strumenti necessari per una lettura critica delle cose del mondo, e non solo gli abbiamo spento la luce sul futuro, ma, gli abbiamo tolto dal vocabolario la parola trascendenza. Cos’è diventata la scuola, e cosa il cinema, il teatro, i giornali, la televisione? Contenitori vuoti di problematicità e colmi di risposte banali e spesso false, tese alla propaganda. La scuola ha scelto la competenza utile come sua parola chiave, dimenticandosi la missione originaria: condurre al ragionamento, al coraggio di pensare. Il cinema adempie al suo incarico: distrarre divertendo. Il teatro quando non è onesto intrattenimento, è puro esercizio di stile che soddisfa onanisticamente chi lo fa e conforta chi lo subisce, così che all’uscita nel foyer, confrontandosi anche solo visivamente con gli altri spettatori, potrà sentirsi 'non popolo'. I giornali, perlopiù, hanno abbandonato l’ipotesi dell’approfondimento e, a parte rarissimi casi, non hanno al loro interno firme capaci di aiutarci a capire. La televisione, che si poteva immaginare desueta con l’avvento dei nuovi media, è riuscita a sopravvivere divenendo, prevalentemente, megafono di slogan e volti capaci di indirizzare voti e pensieri. Tralascio l’influenza che i social network hanno - e avranno sempre più - su chi non ha il coraggio di pensare.
Grazie all’esperienza del laboratorio ho intravisto potenzialità enormi che la scuola ha solo sopito, ma che può rianimare. Plutarco scriveva: «Gli studenti non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere». In poche ore di lavoro su un testo, Medea, andato in scena la prima volta nel 431 a.C. (circa 2.500 anni fa) i ragazzi hanno attraversato con il corpo quella vicenda tremenda. Le parole si sono fatte carne. Due scoperte: la parola 'suona' e il corpo 'parla'. Che la voce avesse potenzialità sonore era risaputo, ma che potesse esprimere diverse sfumature di significato era meno scontato. La nostra voce è una parte intima e se educata all’uso del diaframma, che è luogo di Verità secondo la cultura Greca, la utilizzeremo con più discrezionalità nei messaggi vocali. Altra scoperta: lo stato d’animo è il risultato di un conflitto, di un dialogo, con l’altro, con sé stessi e con il contesto. Lo stato d’animo suggerisce al corpo e alla voce postura e tono coerenti con ciò che vive. Essere la 'parola', essere ciò che si dice significa essere autentici. Ma la rivelazione è stata: 'Conosci te stesso' incontrando l’altro, nel dialogo. Euripide è dello stesso periodo dei Sofisti. I dialoghi tra Giasone e Medea evidenziano l’arte della retorica come pratica di convincimento e di propaganda.
I ragazzi hanno messo in atto, hanno agito, concretizzato concetti che mai dimenticheranno, attrezzi di cui disporranno per scavare dentro, e andare oltre, più in là. In questa breve, ma intensa, avventura ho avvertito le potenzialità della maieutica socratica. Mi viene in mente una frase che il Duca di Vienna utilizza in un dialogo con Angelo nel testo Measure for Measure di William Shakespeare, qui nella traduzione di Cesare Garboli: «Angelo (…) tu non sei solo tu. Ciò che è tuo e ti appartiene – te compreso – non è tua proprietà, non così tanto che le tue doti muoiano con te, e te con loro. Il Cielo fa con noi come noi con le torce, le accendiamo, ma non per loro. E tenere prigioniera dentro di sé, non fare uscire la propria forza, è come non averla. Le energie spirituali, se non hanno peso e materia, e sono forze pure, saranno fatte per dei fini puri¸ e la natura, grande dea usuraia, non impresta a nessuno del talento, il più piccolo grammo di talento, senza lucrarci sopra, e averne insieme profitto e gratitudine - che è il genio di chiunque fa credito». I ragazzi devono aver coscienza di essere torce e a noi - professori, genitori, adulti - il compito di accenderle.
Fabio Sonzogni
Docente di Storia dell’Arte, direttore artistico del Siloe Film Festival
Avvenire, 16 gennaio 2020