«Se l’obiettivo è dare la possibilità a più persone di studiare, noi siamo assolutamente favorevoli. Ma per farlo servono un piano organico e investimenti adeguati. Con le scorciatoie si rischia di fare ancora più danni». Il problema della mancanza di medici in Italia non si risolve abolendo il numero chiuso a Medicina, ma mettendo più risorse a disposizione delle università. Ne è fermamente convinto Eugenio Gaudio, rettore della Sapienza di Roma e vicepresidente della Crui, la Conferenza dei rettori italiani: «Prima di pensare di immatricolare più persone, dobbiamo adeguare le strutture», sottolinea ribaltando la prospettiva da cui si guarda il problema.
Che cosa serve innanzitutto?
Almeno un miliardo in più del Fondo di finanziamento ordinario delle università, oggi fermo a 7 miliardi annui. Se vogliamo aumentare il numero dei laureati, non soltanto in Medicina ma in generale – cosa di cui l’Italia ha estremo bisogno – dobbiamo far crescere il numero di professori, aule e la- boratori. Come Crui abbiamo dato la disponibilità a far crescere i posti a Medicina, ma dietro finanziamenti adeguati. Non dimentichiamo che il nostro Paese investe in formazione mediamente il 20% in meno (con punte del 40%) rispetto alla media dei Paesi Ocse. Per la formazione superiore mettiamo risorse per circa 100 euro a studente, contro i 300 di Francia e Germania e i 600 della Corea del Sud. Credo che questi numeri parlino da soli.
Però il governo sembra favorevole all’abolizione del numero chiuso a Medicina. Se avvenisse, quali sarebbero le conseguenze per le università?
Se abbiamo posti per diecimila matricole e ne facciamo entrare di colpo 60mila, compromettiamo la capacità di formare queste persone con il rischio di veder crollare anche la validità internazionale del titolo di studio, dato che sono necessarie almeno 4.500 ore di frequenza e, con questi numeri, sarebbe davvero complicato raggiungerle. Ai tempi in cui studiavo io, a Medicina non c’era il numero chiuso; con il risultato che tanti studenti vedevano il primo paziente il primo giorno di servizio in ospedale... Vogliamo tornare qui? Non credo proprio.
Intanto l’università di Ferrara ha intenzione di togliere il numero chiuso, facendo selezione sulla base dei voti conseguiti agli esami. È una strada praticabile, secondo lei?
Bisogna vedere se questo percorso è praticabile dal punto di vista tecnico e giuridico. E comunque non credo chesposti di molto i termini del problema. Ripeto: prima dobbiamo stabilire quanti medici vogliamo formare e poi agire di conseguenza. Da questo punto di vista, prima di intervenire sul numero chiuso, dobbiamo mettere mano anche alla carenza di medici specializzati. Oggi, infatti, abbiamo più laureati rispetto ai posti disponibili nelle scuole di specializzazione. C’è bisogno di aumentare il numero di borse, ma per farlo è necessario investire di più, per creare le figure che servono al sistema sanitario.
Insomma, alla fine si torna sempre lì, al nodo delle risorse…
Come Paese dobbiamo decidere dove vogliamo andare. Servono scelte politiche ben definite. Serve un piano organico con i soldi necessari a realizzarlo. Come Crui siamo al tavolo tecnico attivato dal governo e abbiamo già dato la disponibilità ad aumentare del 20% dal prossimo anno gli iscritti a Medicina. Ma aprire indiscriminatamente significherebbe riversare sulle università un numero di studenti non gestibile. Con ricadute importanti sulla qualità della didattica.
Paolo Ferrario
Avvenire, 14 febbraio 2019