UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il rettore Anelli: un’alleanza per il Paese

Nella domenica che la Chiesa dedica all’Università Cattolica, un bilancio del difficile periodo vissuto in questi mesi e uno sguardo agli obiettivi futuri
21 Settembre 2020

Un grande impegno per «gestire» l’attuale emergenza e soprattutto «governare» l’immediato futuro con la ripresa dell’attività accademica. Il tutto nella consapevolezza della propria storia passato e anche di quella che si sta creando ora. È uno sguardo a 360 gradi quello che il rettore dell’Università Cattolica Franco Anello fa nel giorno che la Chiesa italiana dedica all’ateneo dei cattolici italiani. E non a caso lo stesso tema scelto per la 96ª Giornata nazionale, promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo, è proprio “Alleati per il futuro”.

Professor Anelli, l’Anno accademico che si sta per aprire è “speciale” sotto molti punti di vista. Iniziamo da quello didattico. La pandemia non è terminata e le norme di sicurezza permangono. Come ripartirete con le lezioni, gli esami e le lauree?

L’esperienza dei campus svuotati per la pandemia ha reso la nostra comunità universitaria ancora più consapevole del fatto che la conoscenza è relazione e che, come ricordava Papa Francesco agli atenei cattolici pochi giorni prima dell’emergenza, «l’educazione è una realtà dinamica, è un movimento, che porta alla luce le persone». Con questo spirito abbiamo iniziato ad accogliere di nuovo nelle nostre aule gli studenti, la cui presenza fa rivivere l’Università. Nello stesso tempo avvertiamo l’importanza di quello che abbiamo imparato sulla didattica a distanza e sulle nuove tecnologie. Non è stato un percorso facile. Si è trattato di commutare, in pochi giorni, in modalità digitale un’università presente in cinque città, con più di 40mila studenti, quasi 1.500 professori. L’operazione, superata qualche inevitabile difficoltà iniziale, è riuscita; e di ciò ringrazio tutte le componenti dell’Università, e in particolare i docenti, che si sono impegnati per passare dalle tradizionali forme di didattica alla modalità online senza penalizzare la qualità dell’insegnamento e la relazione con lo studente, che è tra i punti di forza della nostra azione educativa. Nel nuovo anno la didattica in presenza avverrà nel rispetto delle prescrizioni sanitarie, con l’ausilio delle strumentazioni necessarie (nuove telecamere che consentono la diffusione in streaming delle lezioni svolte in aula) e di una App che consente agli studenti di gestire il posto nelle aule, dove saranno garantiti distanziamento sociale e sanificazioni. Abbiamo lavorato, inoltre, sull’orario dei corsi, estendendolo e includendo anche il sabato.

Come è possibile in questa situazione preservare il rapporto educativo, l’importanza dell’incontro tra docente e studenti?

Tra i meriti di tanti nostri docenti c’è l’inclinazione a coltivare, anche nelle nuove modalità, la centralità del rapporto tra chi insegna e chi apprende; un impegno che emerge, per esempio, nella partecipazione dei docenti ai corsi proposti dall’Ateneo per valorizzare, con metodo, l’aspetto interattivo delle lezioni. La didattica «aumentata digitalmente» offre nuove possibilità sia per dar voce a domande e osservazioni degli studenti sia per ampliare la documentazione dei corsi.

Nei mesi scorsi avete messo in campo molte iniziative per essere vicini agli studenti. Quali secondo lei le più significative?

L’esempio più immediato è il Fondo intitolato a padre Gemelli promosso e alimentato dall’Università con un significativo stanziamento e aperto a donazioni private: abbiamo aiutato circa 2.000 studenti, che per effetto della pandemia avevano difficoltà nel pagamento dei contributi universitari. Aggiungo poi gli investimenti, intorno ai 5 milioni di euro, volti a potenziare le tecnologie per la didattica e, in parte, per la ricerca.

La crisi economica e i timori per il Covid-19 rischiano di riflettersi sulle iscrizioni. La Cattolica non sembra aver subito flessioni, segno di apprezzamento. Ma cosa significherebbe per il mondo accademico e l’intero Paese una “fuga” dalle università?

Le notizie sui nuovi iscritti sono molto buone e premiano gli sforzi fatti negli anni per arricchire costantemente l’offerta formativa, migliorare la qualità dei servizi, aumentare gli spazi e ammodernare le sedi. Una fuga dalla formazione universitaria avrebbe comportato un impoverimento culturale e politico della società. L’università, in particolare in questo periodo storico, non deve essere solo un luogo in cui ci si specializza in una disciplina: qui si impara ad apprezzare la conoscenza come bene sociale fondamentale. Questa è la vocazione politica dell’università: far crescere individui capaci di riconoscere il valore della competenza. Oggi invece sembra in molti casi che la mancanza di preparazione venga elevata a valore, simbolo di novità, di rottura di legami con assetti e dinamiche sociali del passato; ma è un errore: la carenza di cultura è solo assenza, vuoto, ed è un danno molto grave per la polis, direi esiziale. L’università deve creare persone che hanno rispetto per la cultura, che hanno, usando una bella espressione cara al Santo Padre, «sapienza». Perseguire questo obiettivo mediante un’educazione alla relazione che è educazione alla polis, è la nostra missione politica e sociale.

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Enrico Lenzi

Avvenire, 20 settembre 2020