“In questo tempo tanto singolare, vorrei condividere alcune riflessioni – meglio: alcune suggestioni che la particolarità della situazione ha sollevato. Spero che possano essere utili per ravvivare o avviare un dialogo, dal momento che questa pratica mi sembra una delle occasioni più preziose per coltivare e custodire la nostra comune umanità”. Si rivolge così alla comunità scolastica dell’Istituto Sociale di Torino il prof. Matteo Bergamaschi che nella scuola paritaria dei gesuiti insegna storia e filosofia.
“Ho scandito questi pensieri – prosegue il docente – secondo tre parole che in questi giorni risuonano in me con particolare intensità. Spero che questa possa essere un’occasione per disseminare curiosità, spunti di lettura con cui continuare a intessere quel dialogo che ci preserva umani”.
Le tre parole in cui si articola la riflessione sono: Catastrofe (La fine del mondo), Morte (L’eccesso di godimento), Attesa (Il bene dell’altro).
“Compagna fedele di questo tempo è l’attesa – scrive Bergamaschi – Ci scopriamo in compagnia di un’attesa che non abbiamo scelto né voluto, ma di cui ci troviamo in qualche modo portatori, nostro malgrado... La nostra solitudine ci è insopportabile, aveva insegnato Pascal, tanto che ci ingegniamo a escogitare espedienti pur di riempirla – la saturiamo per non correre il rischio di avere a che fare con noi stessi”. È questa la sfida che emerge nel tempo attuale: “medici, infermieri, sacerdoti, insegnanti e genitori, prima di tutto, ma anche studenti che studiano pur immaginando che non verranno bocciati, inventano il presente attraverso un’infinità di tattiche per costruire un qui e ora denso di significato, in cui coltivare il senso e custodire l’altro”. In tal modo anche la vita al tempo del coronavirus può diventare “un’esperienza di nascita”.
In allegato il testo “Inventare il presente” del prof. Matteo Bergamaschi.