UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il preside veneto: si torni a essere una comunità

«Gli insegnanti? Saranno decisivi Il governo abbia fiducia in loro»
8 Settembre 2020

Chiudere una lunga carriera tra scuola e Parlamento con un atto di apertura (anzi di ri-apertura) è quanto di più simbolico potesse accadere a Gianni Zen. Una storia che l’ormai ex preside del Liceo Brocchi di Bassano del Grappa – la scuola più grande del Veneto con 2.250 studenti suddivisi in 91 classi – racconta ad Avvenire a un’ora dall’ultimo Consiglio d’istituto chiamato a sancire l’avvio in presenza delle lezioni dopo i lunghi mesi di lockdown.

La vocazione all’insegnamento nata in parrocchia, quella di Santa Croce a Bassano. L’avventura politica, l’impegno nelle istituzioni e al ministero per la riforma dell’università. Ma il richiamo della scuola è troppo forte, così nel 2001 Gianni Zen torna a insegnare e poi a dirigere: prima l’istituto tecnico Rossi di Vicenza e poi, per dieci anni, il Brocchi. Infine, l’ultimo atto riguarda la gestione di questi mesi, mai visti prima, di emergenza. Con la pensione che lo aspetta il giorno dopo l’ultimo Consiglio, quello più delicato.

Chiudere in piena pandemia ha rappresentato una sfida, ma il Covid ha reso più chiaro quello che è il vero cuore della scuola. «Dopo tutti questi mesi passati a discutere di banchi, mascherine, entrate differenziate e termoscanner, mi auguro di cuore che sia rimessa al centro la relazione tra i ragazzi e il patto di corresponsabilità che stiamo chiedendo agli insegnati. La scuola è anzitutto comunità, guardarsi negli occhi, capirsi al volo, imparare per la vita, anche ciò che non è nozionistico».

È il “credo” su cui Zen ha impostato la vita al Brocchi: la scuola come centro culturale aperto tutto il giorno, con proposte e attività per tutti. E una didattica innovativa, che non ha paura di mettere al centro dei curricula le domande che ogni ragazzo ha dentro. Insegnanti e alunni glielo hanno scritto anche nel saluto che compare nel sito della scuola. «Oggi gli insegnanti sono il collante della società – riprende –. La serietà con cui la stragrande maggioranza di loro affronta un momento molto probante dal punto di vista personale e professionale è encomiabile». Eppure si parla di migliaia di richieste di esonero e di rifiuti a sottoporsi al test sierologico. «Vale la logica dell’albero che cade: fa molto più rumore della foresta che cresce. A parte poche eccezioni, io ho trovato sempre entusiasmo e abnegazione: tanto di cappello. Dagli insegnanti passa il confine tra un’esperienza positiva di riapertura oppure un percorso critico, vanno sostenuti» . Semmai sono i sindacati della scuola a non fornire la giusta percezione:

«Se meno del 30 per cento del personale scolastico aderisce alle rappresentanze sindacali, credo che sia giunto il tempo di rivedere la loro mission. Specialmente gli autonomi perseguono battaglie identitarie che hanno fatto il loro tempo e oggi rappresentano più che altro un boomerang per il sistema scuola».

Quanto a questi ultimi mesi trascorsi tra annunci, smentite e lavori sul campo, «abbiamo trascorso – dice il preside che va in pensione – un’estate a raccapezzarci tra regolamenti, note, indicazioni della ministra, del Comitato tecnico scientifico, della Regione. A questo punto la ripartenza doveva essere cosa fatta. La parola chiave è sussidiarietà: chi ha responsabilità non può regolamentare dall’alto fino ai dettagli. Occorrono linee generali chiare e poi fiducia in chi la scuola la “fa” ogni giorno».

Luca Bortoli

Avvenire, 8 settembre 2020