UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il Pilastro alla riscossa (partita dal doposcuola)

Così nel quartiere della “bolo-feccia” associazioni ed educatori di strada provano a costruire relazioni
8 Giugno 2022

Il Pilastro di Bologna – diventato tristemente famoso per la citofonata del leader della Lega Matteo Salvini alla famiglia di presunti spacciatori, poi coinvolta in un blitz antidroga – è la classica periferia di una grande città. Ci sono i panni stesi, le antenne televisive puntate a sud, finestre spalancate da cui provengono aromi esotici. E ci sono gli stranieri: ragazzini, soprattutto, che ballano per strada con le casse sui motorini, da cui esce un mix di trap e musica etnica. Hanno tutti tratti somatici diversi, origini differenti, ma tra loro parlano in italiano, a volte con accento bolognese. Vivono lì, il fine settimana si spostano in centro.

Sono «fluidi», come li definisce Siid Negash, il primo consigliere comunale di Bologna nato in Eritrea. Conosce bene il tema sollevato dai fatti di Peschiera del Garda: lavora nell’educativa di strada ed è Presidente di Next Generation Italy, un’associazione che si occupa di interculturalità e integrazione. Si è fatto promotore di una proposta del Comune al Governo per il riconoscimento del diritto alla cittadinanza, primo caso in Italia. «A Bologna non le chiamiamo “seconde”, ma “nuove generazioni”» puntualizza subito. Perché «le definizioni sono importanti», insiste.

Sociologicamente, a suo avviso, la differenza più marcata non è tra migranti o figli di immigrati e italiani, ma tra fasce d’età, al massimo tra ceti sociali, spiega. La “bolo-bene” e la “bolo-feccia”, i liceali del centro e gli studenti professionali delle periferie, si fronteggiano prevalentemente in centro storico, ma il Covid, ultimamente, ha sbollito gli animi. I ragazzini, ora, «si muovono in città, non si focalizzano nei quartieri in cui vivono. Non si frequentano tra loro in base alla provenienza dei genitori, ma in base ai gusti musicali, alla scuola frequentata» dice Negash.

Non c’è solo male. Non solo risse e paura. Dal punto di vista educativo, il Pilastro offre molto: ci sono i gruppi socio-educativi, i doposcuola delle parrocchie, in cui vanno anche ragazzine col velo. C’è un grande fermento associativo, dai centri sociali per anziani, ai movimenti spontanei di cittadini, che hanno addirittura fondato un blog, permeato di orgoglio pilastrino, che è un fiorire di proposte e di occasioni di incontro.

Secondo Daniele Ara, assessore agli Adolescenti e alla scuola, a quest’ultima spetta il compito di evitare ghettizzazioni. Al Pilastro ci sono molte deroghe, nelle classi, per il numero di alunni stranieri: circa il 14% supera ampiamente il 30% previsto dal Miur. «L’adolescenza è un tema fondamentale di per sé» spiega Ara. «Capita spesso di sentire dalle insegnanti racconti di ragazzini che non vogliono passare le vacanze nel Paese d’origine dei genitori, perché in quello, sì, si sentono stranieri» dice. La scuola li aiuta a trovare una propria identità, a sentirsi accolti.

E mentre l’ex presidente di quartiere Simone Borsari riferisce di tante giovani famiglie che stanno ripopolando la zona, incuranti del pregiudizio, Marco Bertuzzi, presidente di Acer, l’Azienda Casa regionale, segnala la grande attenzione al mix sociale che l’ente pone nell’assegnare gli alloggi. «Al Pilastro ci sono case grandi, per famiglie numerose» dice. Si sa, gli stranieri fanno più figli e questi «fanno punteggio» per ottenere l’abitazione. «Ma non ci sono ghetti» rassicura: anzi, per la prima volta Acer è coinvolta, con le scuole e le istituzioni, in azioni congiunte per mantenere il giusto mix sociale anche tra gli adolescenti della zona.

Chiara Pazzaglia

Avvenire, 8 giugno 2022