Quanto ha bisogno di cultura dell’incontro un mondo «diviso e atomizzato ». Lo ha ribadito il Papa in un videomessaggio inviato alla cerimonia conclusiva del congresso di Scholas Occurentes , che si è svolto dal 2 luglio fino a ieri, e che ha avuto luogo nella sede dell’Università Ebraica di Gerusalemme sul tema: “Nella scuola e nell’università, costruendo la pace attraverso la cultura dell’incontro”.
Francesco, parlando in spagnolo, ha sottolineato: «Viviamo in un mondo che ha paura delle diversità, e che a partire da questo timore a volte costruisce dei muri i quali finiscono per rendere reale il peggiore incubo, cioè il vivere come nemici». Proprio questo mondo, ha aggiunto il Pontefice, «necessita di uscire per realizzare incontri». Bergoglio ha quindi ringraziato gli adulti, i professori dell’Università Ebraica che ospitava i lavori e anche quelli di altre università di tutto il mondo presenti a Gerusalemme per aver scelto di non «rinchiudersi» e «per aver posto le loro preziose conoscenze a servizio dell’ascolto». Un grazie a cui il Papa ha voluto aggiungerne anche un altro, rivolto ai giovani di Israele e Palestina e agli invitati da altri Paesi per aver voluto «sognare, cercare il senso della vita, esprimere creatività, festeggiare, poner mente, mano e cuore al fine di rendere reale la cultura dell’incontro». Nel videomessaggio papa Francesco si è rallegrato per il fatto che al congresso di Scholas Occurrentes fossero presenti persone di differenti nazionalità, religioni e realtà. «Tutti abbiamo un senso nella vita – ha detto –. Nessuno di noi è un “no”. Tutti siamo “sì”, per questo quando incontriamo il senso è come se ci si allargasse l’anima». Occorre, inoltre, educare a essere liberi da pregiudizi che bloccano i sogni e la ricerca di «nuove strade ». «Noi adulti – ha proseguito il Pontefice –, non possiamo togliere a bambini e giovani la capacità di sognare, né di giocare». Quindi l’incontro di Scholas ha insegnato che bisogna «generare un contesto di speranza perché quei sogni crescano e si condividano». «Un sogno, quando è condiviso, diventa l’utopia di un popolo, la possibilità di creare un nuovo modo di vivere», ha fatto notare Francesco. «La nostra utopia, quella di tutti noi che, in qualche modo, formiamo le Scholas, è creare con questa educazione una cultura dell’incontro». Si può quindi valorizzare la diversità di culture per raggiungere non l’uniformità ma l’armonia, ha concluso Francesco.
Mimmo Muolo
Avvenire, 6 luglio 2017