Nella scuola del futuro non ci saranno più le aule ma «spazi educativi » e gli alunni non seguiranno delle lezioni ma «percorsi di apprendimento» con un’articolazione del tempo molto diversa da quella che conosciamo. Un assaggio di come dovrà essere la scuola del terzo millennio, si avrà da oggi a venerdì alla fiera Didacta, promossa alla Fortezza da Basso di Firenze, dall’Indire, l’Istituto nazionale documentazione innovazione e ricerca educativa. All’interno dello spazio espositivo, è stata allestita una classe secondo le indicazioni del Manifesto “1+4”, dove “1” è «l’ambiente di apprendimento polifunzionale del gruppo classe» e “4” sono, appunto, «gli spazi complementari e non più subordinati, agli ambienti della didattica quotidiana ». I quattro spazi sono: l’agorà, un ambiente per la condivisione di eventi aperti anche al territorio; lo spazio di gruppo, un’area flessibile che permette lo svolgimento di attività differenziate; lo spazio individuale, per il raccoglimento, la riflessione e la lettura; lo spazio per l’esplorazione, dotato di strumenti per l’osservazione, la sperimentazione e la manipolazione.
«I trecento insegnanti iscritti a Didacta – spiega il presidente dell’Indire, Giovanni Biondi – avranno la possibilità di “provare” a fare scuola in questo modo, lavorando, nello specifico, sulle macchine di Leonardo. Tema che sarà affrontato secondo un approccio multidisciplinare, dal punto di vista della scienza, della filosofia e della letteratura. Il nostro obiettivo – sottolinea Biondi – è cambiare il modello scolastico attuale, tayloristico, incentrato sulla lezione frontale. Se è andato bene per traghettare una società essenzialmente contadina verso un modello di sviluppo indu-striale, oggi ha fatto il suo tempo. In questo senso, con il movimento delle Avanguardie educative, al quale hanno aderito più di mille scuole in tutta Italia, stiamo cercando di seminare buone pratiche nei territori».
Ogni cambiamento, però, deve partire da chi la scuola la fa tutti i giorni, cioè dagli insegnanti. Un popolo di quasi un milione di persone, tra cui ci sono «eccellenze da valorizzare », ricorda Dario Ianes, docente di Pedagogia speciale all’università di Bolzano e cofondatore del Centro studi Erickson di Trento. Che ha dedicato agli insegnanti l’ultima fatica editoriale, “Il manuale dell’expert teacher”, che individua sedici competenze chiave per quattro nuovi profili di docente. «Per valorizzare le eccellenze, che ci sono, nella scuola italiana, dobbiamo rompere lo schema – ribadisce Ianes –: non è vero che gli insegnanti sono tutti uguali, che tutti lavorano bene e, per questa ragione, devono essere tutti pagati (poco) allo stesso modo. Per questo, quando ho sentito il ministro Fioramonti dire di voler dare un aumento di 100 euro a tutti indistintamente, mi sono cadute le braccia. Non è così che si valorizza il merito, che si dà valore ai migliori. Noi – aggiunge Ianes – non possiamo dare agli insegnanti più soldi in busta paga, ma possiamo promuovere, con i nostri strumenti editoriali, chi ha idee innovative e le mette in pratica». Come Eleonora Gonin, maestra della scuola primaria di Perosa Argentina, sulle montagne torinesi, tra la Val Chisone e la Val Germanasca, che ha aderito al movimento delle “Scuole senza zaino”. «I bambini – spiega l’insegnante – trovano tutto il materiale a scuola e sono educati a prendersene cura in maniera responsabile, perché se una cosa è necessaria per uno, è utile a tutti». In una scuola media di Roma, invece, insegna Lettere Daniela Di Donato, attualmente in congedo per seguire un dottorato di ricerca alla Sapienza, proprio sull’innovazione della didattica, di cui è formatrice per il Miur. Con i suoi alunni, adotta il metodo della “Classe capovolta”, con largo uso delle tecnologie e dei device personali (computer, tablet e smartphone). «A casa – spiega la docente – i ragazzi lavorano su materiali multimediali preparati dall’insegnante, che in aula ha una funzione operativa, di supporto alla classe. In questo modo tutti hanno accesso agli stessi percorsi di apprendimento e nessuno viene emarginato ».
Paolo Ferrario
Avvenire, 9 ottobre 2019