UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il futuro dell’uomo chiede responsabilità

Un estratto dalla lectio di Luigi Alici in forma di dialogo fra un docente e due studenti che aprirà l’anno accademico dell’Università di Macerata
12 Ottobre 2020

Il professore riprese: «Il nostro mondo abbraccia galassie ed ecosistemi, industrie e parlamenti, piazze e campanili, biosfera e tecnosfera; dinanzi a tale complessità non possiamo consentire all’homo faber di tenerne in pugno alcuni frammenti per le proprie voglie. Ha ragione Borges: “La terra è un paradiso. L’inferno è non accorgersene”. Anche papa Francesco, da Laudato si’ a Fratelli tutti, invita a tenere insieme questione ambientale e questione sociale, in nome di una cura fraterna della casa comune.

Il mondo è uno solo, non ne abbiamo uno di riserva; la famiglia umana è una sola; c’è un unico crocevia dei saperi e un unico bene comune. Ci si ammala insieme e si guarisce insieme. Ricordate Einstein: “La natura non è divisa in dipartimenti, come lo sono invece le università”. E invece abbiamo fatto a pezzi non solo il mondo e il sapere, ma persino l’etica! L’etica ecologica è severamente normativa, mentre altre etiche sono ormai arrese al soggettivismo delle preferenze. I nostri ragazzi sono contro gli Ogm e nello stesso tempo a favore dell’utero in affitto: in un caso la natura sarebbe inviolabile, nell’altro caso no.

Non possiamo affrontare problemi globali con approcci settoriali. Per abbattere i recinti del sapere, che impediscono una reale democratizzazione della conoscenza, c’è bisogno di allargare gli orizzonti dell’umanesimo. Dobbiamo lasciarci stupire dall’intero: contemplare la bellezza, articolare le differenze in modo armonico e plurale. Non confondiamo l’unità del sapere col pensiero unico. Nella prospettiva di un welfare cognitivo, la politica deve promuovere il bene comune della conoscenza e l’istituzione universitaria favorire una condivisione partecipata dei saperi. Purtroppo anche l’università è vittima di un surriscaldamento; come no, un surriscaldamento burocratico, che la sta paralizzando».

«Professore, e allora?». Aurora aveva uno sguardo smarrito. «Allora ci aspetta un grande lavoro. Non dobbiamo soltanto depurare l’umanesimo da forme ideologiche di antropocentrismo o biocentrismo; dobbiamo anche bandire ogni retorica esortativa e vagamente moralistica. L’umanesimo non è uno slogan per coprire le nostre pigrizie o per sdoganare le peggiori pulsioni narcisistiche. Mi pare che Karl Kraus abbia detto: “La libertà di pensiero ce l’abbiamo, ora ci vorrebbe il pensiero”. Non lasciatevi intrappolare nei vostri opposti estremismi: tra l’euforia transumanista e il catastrofismo ecologista potrebbe addirittura realizzarsi una involontaria alleanza». «Prof, ma cosa dice?». Leonardo e Aurora insorsero quasi all’unisono, lui incredulo, lei scandalizzata.

«Pensateci bene. Quando si estremizza una deriva ideologica, il punto di approdo può essere lo stesso: sciogliere l’umano nell’anonimato della grande rete – la rete del mondo digitale o della comunità biotica. In entrambi i casi, all’orizzonte ci sarebbe un megasistema impersonale: o quello che promette di ridurre il sapere ad algoritmi gestiti da un’intelligenza artificiale centralizzata, oppure quello che annega ogni individualità nell’equilibrio omeostatico della vita. Ecco il compito dell’università: allungare e allargare, non accorciare o restringere la via dell’umanesimo. Una via aperta e generativa, capace di guardare oltre l’antinomia di naturale e digitale, tenendo insieme la radicalità della ricerca e la passione degli orizzonti aperti, sul filo di un equilibrio creativo tra autonomia personale e responsabilità pubbliche. L’“umanesimo che innova” può essere un antidoto potente alle patologie interstiziali che si annidano nelle articolazioni profonde dove si tesse la trama di scienza e saggezza, fragilità e libertà, pubblico e privato». Gli sguardi di Aurora e Leonardo s’incrociarono, dopo aver vagato per la stanza, dove regnava il solito disordine creativo e il vecchio computer era quasi sommerso da pile di libri.

«Professore, si è fatto tardi, siamo tanto contenti di questo incontro ». Lui fece finta di non sentire. «Siamo fragili, fragili e preziosi, per questo affidati gli uni nelle mani degli altri. Mentre devastava il panorama sociale, il Covid-19 ha messo a nudo molte altre fragilità, alle quali dobbiamo dare un nome. Non svuotiamo ulteriormente il paniere pubblico dei beni condivisi, dove la salute non deve occupare l'ultimo posto. Senza illuderci che un esserino circa 600 volte più piccolo del diametro di un nostro capello possa risolverci il problema. La crisi pandemica radicalizza quello che siamo: l'altruismo diventa eroico, l'opportunismo spudorato; la responsabilità potrebbe tornare al centro della scena pubblica, ma l'individualismo potrebbe essere rafforzato da nuove pulsioni tribali e corporative ». Si alzò di malavoglia, e cominciò lentamente ad accompagnarli verso la porta.

«Ricordate, le nostre responsabilità sono irrinunciabili e indelegabili. Jonas ha ragione: chi può scegliere, deve rispondere. In un'epoca di emozioni corte, di rapporti corti, di politiche di corto respiro, a noi tocca allungare gli orizzonti della responsabilità, fino alle future generazioni, al futuro della vita sulla terra. Responsabilità della cura, del bene comune, della pace: ecco la via da percorrere. Siamo ospiti, dobbiamo essere ospitali; le meraviglie del sapere non possono assecondare i deliri del potere. L'unica alternativa al contagio globale degli egoismi, ben peggiori dei virus, è il contagio culturale e spirituale che appartiene all'ordine generativo della dedizione disinteressata: non do ut des, ma do ut sis. Il bene non è un evento solitario, la forma propria del vivere è vivere insieme partecipando al bene che accomuna».

Al di sopra della mascherina il suo sguardo era intenso e penetrante. «Per dare una forma cosmica e ospitale al nostro futuro, dobbiamo preferire la profondità alla superficie, anteporre la cooperazione alla competizione, aprire le risposte piccole alle domande grandi. Dentro, insieme, oltre: ecco tre avverbi che possono accompagnarci sulla via dell'umanesimo. Vi lascio con questa piccola consegna». Un accenno imbarazzato e commosso di abbraccio a distanza. «Dovete andare, grazie della visita. Mi raccomando, non cercate il successo, cercate la verità. Ricordatevi di Seneca: "Non c'è niente di più vergognoso di una filosofia che va in cerca di applausi"».

Luigi Alici

(Avvenire, 11 ottobre 2020)