A distanza di circa un mese dalla sua pubblicazione, la sentenza 1798/2024 del Consiglio di Stato sulla limitazione delle ore di assistenza scolastica a uno studente disabile, continua a suscitare in noi genitori delle scuole cattoliche non solo indignazione ma anche inquietanti riflessioni circa l’idea di società e di diritti che essa sottende.
Non si tratta tanto di contestarne l’impianto logico-deduttivo sotto il profilo giuridico e giurisprudenziale, quanto di cogliere il senso delle motivazioni su cui si fonda la decisione del giudice per analizzarne criticamente i presupposti. La vicenda è nota ai più: i genitori di un ragazzo disabile a cui era stato riconosciuto il diritto all’assistenza scolastica per 13 ore a settimana presentano ricorso al Tar contro la decisione del Comune di residenza di erogarne soltanto 7, in ragione del proprio limitato budget. Contro la decisione di primo grado, che dava ragione al Comune, i genitori decidono di ricorrere al Consiglio di Stato che, con la sentenza sopra citata, conferma il rigetto del ricorso, sostenendo che, per quanto il diritto del disabile sia incomprimibile, esso vada contemperato con i vincoli di bilancio della Pubblica amministrazione. Quindi, un diritto relativo e non assoluto. Una sentenza che proprio per le sue motivazioni ha lasciato sgomenti e ha suscitato le proteste dei familiari dei disabili e delle associazioni che li rappresentano.
Non è possibile, infatti, non cogliere un pericoloso precedente che rischia di alimentare l’imperante cultura dello scarto contro cui papa Francesco più volte ci ha messo in guardia. Inoltre, essa mina l’essenza stessa della scuola che è per sua natura inclusiva, come dimostra il recente dibattito sullo ius scholae, che conferirebbe all’istituzione scolastica il compito di formare i cittadini di domani, anche quando provenienti da Paesi o famiglie stranieri. La scuola è, infatti, ‹‹un fondamentale strumento di inclusione perché accoglie le nuove generazioni e le prepara a inserirsi nella società e nella cultura umana››, come ci ricorda monsignor Claudio Giuliodori nella presentazione del XXV Rapporto sulla Scuola Cattolica in Italia, a cura del Centro Studi per la Scuola Cattolica (2023). L’inclusività della scuola e della società nel suo insieme si misura innanzitutto dalla capacità di non lasciare indietro i più deboli e svantaggiati e garantire loro piena cittadinanza. Se per il cristiano, quindi, l’inclusione è connaturata al messaggio salvifico del Signore e al Suo rivolgersi ai più poveri, ai più fragili, agli ultimi, non si può ignorare che la Costituzione italiana sancisce all’art. 34 che la ‹‹scuola è aperta a tutti››.
Per questi motivi contestiamo che l’assistenza scolastica possa esaurirsi in un mero “diritto sociale a prestazione” e, pertanto, finanziariamente condizionato, come afferma la sentenza. Essa piuttosto deve essere intesa come presupposto ineludibile per garantire un diritto costituzionalmente sancito qual è il diritto all’istruzione, che non è dato per il disabile senza il congruo numero di ore di assistenza scolastica. La Legge prevede che ‹‹la Repubblica promuove l’apprendimento in tutto l’arco della vita e assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze››. L’assistenza scolastica conformemente alle indicazioni del Pei (Piano Educativo Individuale) riguarda, quindi, la garanzia di pari opportunità nell’esperire il diritto allo studio. Contestiamo altresì il richiamo ai “ragionevoli accomodamenti”, altra motivazione addotta dal Consiglio di Stato, come escamotage per disattendere nella sostanza le direttive comunitarie. Ad essi si può ricorrere, forse, in extremis, dopo aver fatto ogni sforzo possibile per allocare le risorse finanziarie necessarie a garantire i diritti dei disabili, mentre non è accettabile fare spending review sulla loro pelle, limitandone il diritto allo studio. Infine, non è accettabile definire “non vincolante” il Pei, a meno di non volerne svuotare completamente il senso. Vale la pena impiegare risorse e professionalità nei Glo (Gruppi di lavoro operativo) se poi il piano può essere disatteso per motivazioni finanziarie? In conclusione, si tratta di una sentenza profondamente errata che mette in questione il senso stesso del bene comune e del vivere civile e aggrava la situazione già difficile di tante famiglie. Per questo come Agesc auspichiamo, come già fatto dalla ministra Locatelli, che possa essere riformata in seduta plenaria.
Umberto Palaia, presidente Agesc
Avvenire, 13 settembre 2024