Se a distanza di pochissimi giorni dall’inizio dell’anno scolastico, tante scelte appaiono ancora oscure, ritengo abbia a che fare con una sorta di inversione di ruoli tra le competenze scolastico-educative e quelle sanitarie. La prassi consolidata funziona così: le autorità sanitarie decidono, più o meno per decreto ministeriale, quali saranno le procedure a cui le istituzioni scolastiche italiane dovranno attenersi per poter riprendere le attività didattiche. Fino a che punto questo è legittimo? Non sarebbe più consono e opportuno il contrario? Ossia che le istituzioni scolastiche stabilissero delle modalità di ripresa con una precisa caratterizzazione educativa e pedagogica e su questa base il sistema sanitario venisse consultato per garantire la necessaria sicurezza rispetto alle possibili riprese di contagio e di epidemia? È l’organizzazione scolastica, con i suoi vertici, a dover prendere l’iniziativa e quindi chiedere conferma all’autorità sanitaria rispetto ai pericoli che potremo ancora correre. Viceversa, come sta succedendo, la confusione regna sovrana e rischia di essere lo scenario endemico di tutto il prossimo anno scolastico, con continui allarmismi, passi avanti e passi indietro, in uno stato di precarietà che può pesantemente condizionare le motivazioni degli alunni andando a pesare sullo stato psichico dei genitori e degli insegnanti. Così non funziona, occorre che ognuno si assuma le sue responsabilità.
L’allarmismo crea solo un inutile panico. In nessuna parte del mondo, la riapertura delle scuole, ha prodotto effettivi aumenti di contagi. I focolai sono sempre attribuibili ad altre situazioni; pensiamo alle attività sportive, alle attività ricreative come discoteche e ovviamente, specie nei primi tempi, alle strutture di ricovero degli anziani. Non certo la scuola. Sono dati concreti che permettono di vivere il 14 settembre con minor ansia e minor apprensione, specie da parte degli addetti ai lavori, molti dei quali in questo momento si barcamenano fra ansia e speranze a prescindere da informazioni attendibili. Non va per esempio dimenticato che la registrazione dei contagi è una variabile dipendente dal numero stesso dei tamponi realizzati. Distinguere il terrorismo psicologico dai dati reali incontrovertibili è diventato molto difficile e a farne le spese rischia di essere tutto il comparto scolastico.
Deve essere auspicabile un rientro a scuola con entusiasmo, con motivazione, nelle condizioni per cui gli alunni, gli insegnanti e i genitori sentano la liberazione da una permanenza eccessiva nelle mura familiari, restituendo a loro quello spazio di apprendimento che la scuola garantisce e che, come ci dicono gli specialisti, permette a tutta la società di avere dei benefici anche economici.
Questa strana inversione di ruoli continua a produrre idee più o meno stravaganti. Una ci arriva dall’ultimo 'Protocollo per i nidi e le scuole dell’infanzia', dove non sono giustamente previste le mascherine per i piccoli, ma incredibilmente vengono previste per le maestre, creando una situazione molto difficile da gestire nella relazione con bambini che vivono profondamente la sensorialità dell’incontro e dove il viso della maestra deve essere necessariamente un punto di riferimento. Da dove nasce questa strana idea? Perché volerla mantenere a tutti i costi?
Un altro equivoco è la necessità della riduzione del numero degli alunni nelle classi, in genere basata sul bisogno del distanziamento ma anche sulla necessità che gli insegnanti possano relazionarsi in maniera più sistematica con i loro alunni su numeri significativamente più bassi di quelli attuali. Questo ragionamento può avere una valenza psicologica, ma sul piano strettamente didattico le classi bonsai, piuttosto che le classi pollaio, non sono un vantaggio perché la didattica si nutre del gruppo, ossia di un’interazione sistematica tra gli alunni. Nella scuola, l’apprendimento è un fatto sociale. Se la DaD, la didattica a distanza, ha fallito, ha fallito proprio su questo. Si impara dai compagni, e un gruppo troppo piccolo riduce l’indice di apprendimento sociale rendendo poi difficili i processi evolutivi.
Se la scuola e la pedagogia non fanno sentire la loro voce si rischia di prendere alla lettera ogni sorta di indicazione medica. E l’obiettivo del sistema sanitario non può risultare quello di mettere continui ostacoli alla riapertura delle scuole con sempre nuove e impreviste restrizioni, quanto di aiutare la scuola a ripartire col piede giusto, rimuovendo le percezioni distorte che continuano, come se nulla fosse cambiato da marzo, ad addensarsi sul rientro nelle aule italiane. Restituiamo quindi al 14 settembre il valore simbolico di una data che diventa uno spartiacque fra la paura e il coraggio del ricominciare a vivere la scuola.
Daniele Novara
Avvenire, 21 agosto 2020