Papa Bergoglio ancora una volta sprona i giovani ad «andare avanti» con «passione » e «speranza» per raggiungere «mete importanti», «rischiando » e «pregando», camminando mai da soli ma sempre insieme agli amici, agli educatori, alla famiglia e specialmente in dialogo con i nonni. Lo fa rispondendo alle domande di Sofia, Aldo e Giovanni, tre ragazzi del “Collegio Barbarigo” di Padova, durante l’udienza di ieri mattina in Aula Paolo VI agli studenti, famiglie e operatori dell’Istituto scolastico diocesano fondato un secolo fa.
Il Pontefice viene accolto dalle calde parole di saluto del vescovo di Padova, Claudio Cipolla. E risponde a braccioalle domande dei giovani. «Bisogna saper rischiare nella vita – afferma –. È la bellezza della vita. La giovinezza non è passività ma sforzo tenace per raggiungere mete importanti, anche se costa. I giovani da divano sono quelli che sono passivi, seduti, che guardano come passa la storia». «Nella vita niente è gratis – incalza Francesco –. Per andare avanti ci vuole lo sforzo di ogni giorno. Tante volte dobbiamo chiudere gli occhi davanti alle difficoltà e rifiutare i compromessi che ti porteranno nella mediocrità. Mettete questa parola bene nel cuore. Un giovane passivo è un giovane che finirà nel fallimento, uno mediocre è uno che finirà nell’essere tiepido. Né caldo, né freddo, tiepido, senza gusto, senza aver lottato». «La vita dei giovani senza passione è come la pasta in bianco senza sale», insiste il Pontefice. «È brutto incontrare giovani appassiti, quelli che mettono la loro gioia nelle cose superficiali e non vanno in profondità alle grandi domande », sottolinea. Infatti «la vita si gioca con passione».
Papa Francesco ricorda che la «vita è un continuo dialogo», che necessita di un confronto con la famiglia, gli amici, gli educatori. E un ruolo speciale lo devono avere i nonni, che non sono «noiosi» e possono aiutare i giovani a non essere «liquidi». «Voi dovete parlare con i nonni – esorta –. È importante! Perché? Perché i nonnisono le radici. Se tu non vai alle tue radici, sarai un giovane o una giovane sradicato. E quando non ci sono le radici, non c’è la crescita, non ci sono i fiori, non c’è il frutto». Il Pontefice invita i giovani ad affidarsi al proprio «entusiasmo giovanile», alla capacità di «guardare con gioia al futuro», sapendo «rischiare nella vita». Quindi l’invito a non scegliere una professione «per riempire le tasche di soldi ma per servire meglio gli altri». E il racconto della sua esperienza lavorativa a 13 anni, in una fabbrica di un amico del padre, per pulire le officine: «Il lavoro concreto a me ha fatto bene, mi ha aperto gli occhi».
Francesco infine osserva che «stiamo vivendo una culturadella morte, una cultura del silenzio complice, una cultura dell’indifferenza e dello scarto». Di qui l’invito ad «assumere i problemi della vita reale». Con l’assegnazione di un “compito”: «Cercate nelle statistiche quanti bambini muoiono all’anno nelle zone di guerra per fame o per sete». Un invito alla concretezza quindi, che per il Pontefice si può acquisire con le tre dimensioni dell’educazione: «il linguaggio della testa», cioè il «pensare», «il linguaggio del cuore», cioè il «sentire» e «il linguaggio delle mani», cioè il «fare». «Educare – sintetizza il Pontefice – è far crescere queste tre dimensioni della vita, ma in armonia». (G.C.)
Avvenire, 24 maggio 2019