Sul tema del «gender», occorre ripartire dalla realtà e dalla scienza: è questa l’indicazione, per i credenti ma anche per tutti coloro che vogliono, appunto, conformarsi alle indicazioni della natura e non dell’ideologia, emersa dal seminario di studi «Identita di genere tra scienza, diritto e ideologia» che si è svolto a Bologna, nella sede dell’Istituto Veritatis Splendor, per iniziativa della Fondazione Ipsser e dello stesso Istituto. Il convegno ha visto i contributi di giuristi, psicologi, antropologi e sociologi per disegnare il possibile significato concreto di quella «identità di genere» che si vuole separata non solo dal sesso biologico, ma anche dalla struttura psicosociale di ogni essere umano.
«Dall’inizio della sua esistenza, ancora embrione, l’essere umano contiene strutture definite, cromosomi definiti XX (maschio) o XY (femmina) – ha ricordato il ginecologo Patrizio Calderoni -. Non ci sono “salti” nello sviluppo, e il sesso biologico influenza in modo decisivo il “genere” psicosociale». «La genitalità maschile o femminile manda messaggi all’inconscio: la differenza principale e che la donna genera dentro il proprio corpo, l’uomo fuori dal proprio corpo – ha spiegato Mariolina Ceriotti Migliarese, psicologa e psicoterapeuta, e anche testimone, visto che è mamma di 7 figli -. Fino alla preadolescenza, però, il bambino non capisce la differenza sessuale e la genitalità adulta: è molto grave e destabilizzante, quindi, esporlo alla visione della genitalità adulta, ad esempio attraverso la pornografia».
«La preadolescenza invece è un momento di confusione – ha continuato Ceriotti Migliarese – in cui il ragazzino vive una naturale bisessualità: si tratta per il maschio di lasciare il femminile della madre, per la femmina invece di accettare la femminilità della madre, aiutata anche dalle altre donne amiche. E in questo momento - ha fatto notare l’esperta - c’è il rischio dell’attacco dell’ideologia gender, che fa credere che sia possibile fare qualunque scelta senza conseguenze. Una risposta affrettata e superficiale al disagio adolescenziale, che rovina la competenza generativa e soprattutto non dà ascolto ai singoli problemi, non affronta il “perché” dell’identificazione sessuale».
«La struttura biopsichica dell’uomo è il suo fondamento – ha sottolineato l’antropologo e docente emerito dell’Università di Bologna, don Fiorenzo Facchini – ma purtroppo alcune visioni dell’umanità non accettano questo dato scientifico, e diventano ideologiche. Così, mentre il “genere” nasce dall’assetto cromosomico, esse sostengono che esiste un “terzo genere”, non presente in natura; a parte naturalmente le patologie, che sono altra cosa. L’identità di genere si sviluppa sulla base dell’identità sessuale, non è a disposizione della persona: per questo la persona va educata sulla base della sua identità unitaria».
Il cosiddetto gender quindi si potrebbe intendere come falsificazione ideologica della natura, che si vorrebbe estendere anche alla legislazione: «La ddl Zan dà una definizione di genere – ha osservato polemicamente monsignor Facchini – che non solo è falsa, ma più radicalmente, non fa parte dei compiti della legge stessa». «Dobbiamo far emergere le evidenze scientifiche, perché la scienza ci è amica – ha sottolineato da parte sua Assuntina Morresi, docente di Chimica all’Università di Perugia, già membro del Comitato nazionale di Bioetica -. Il transgender infatti riguarda i corpi, si vuol far credere che il sesso non conta, che l’identità sessuale è “nomade” e quindi può cambiare. Ciò contraddice ogni evidenza scientifica».
L’aspetto normativo è stato invece affrontato da Paolo Cavana, docente alla Lumsa di Roma. «C’è una certa discrasia, riguardo al cambiamento di sesso, fra i pronunciamenti della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione – ha spiegato -. Ma questo non autorizza interpretazioni arbitrarie».
Chiara Unguendoli
Avvenire, 27 novembre 2022