Caro direttore,
«secondo voi la filosofia c’entra con la vita quotidiana?». Se la risposta fosse negativa, nessuno studente avrebbe il dovere di studiarla. O, meglio, il piacere di studiarla. In questa domanda e in questa risposta si gioca il senso della scuola. Al Liceo si studia la Storia della filosofia, si incontrano gli autori principali, i giganti del pensiero che hanno forgiato, nel tempo, i canoni del nostro modo di pensare e di agire. Ma è possibile per i ragazzi, oggi, seguire fino in fondo questi geni del pensiero e provare a interrogare il loro tempo, la loro esperienza, i loro desideri? La scorsa settimana ho assistito in diretta a un esperimento molto interessante, perché perfettamente riproducibile, in tutte le materie. L’invito rivolto dai 'miei' docenti di Filosofia agli studenti era stato semplice: «Partite dal vostro quotidiano, da qualsiasi cosa suscita il vostro interesse, dalle domande che non vi lasciano tranquilli». Tutto era lecito, da un film a un libro, da un fatto di cronaca, a una canzone, a una serie tv di successo. L’ obiettivo era semplice: prendere coscienza delle questioni che la realtà suscita per poterle osservare, vagliare, comprendere provando a innescare 'uno sguardo filosofico' sulla realtà.
Così come Socrate rompeva il tran-tran della vita quotidiana ateniese con le sue domande inopportune, allo stesso modo si doveva provare ad arrestare il flusso continuo di informazioni, chat, tweet, post tra cui costantemente si fa zapping, per poter soffermarsi su di esse e interrogarle, utilizzando sant’ Agostino, Kant, Hegel, Pascal, Heidegger. Studenti e insegnanti si sono messi al lavoro, creando delle task force che, insieme, hanno provato a scavare nel quotidiano: «Qual è la differenza tra la coscienza umana e un’ipotetica intelligenza artificiale?» o, ancora, «cos’è l’esperienza della libertà? È possibile non essere schiacciato dai condizionamenti sociali a cui siamo soggetti?», «Che cos’è il tempo?», « Siamo schiavi del nostro passato?», e poi «In un mondo sempre più permeato dal virtuale, è possibile stabilire una differenza tra realtà e finzione? E in quali termini?»; « In un momento storico così segnato dal dolore e dalle regole dell’utile, ha ancora senso parlare di bellezza?».
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Elena Ugolini
Preside del Liceo Malpighi, Bologna
Caro direttore,
la diffusione prepotente e sempre più pervasiva del digitale nella vita e nel lavoro di ciascuno è tema molto dibattuto e non sfugge all’eterna contrapposizione tra apocalittici e speranzosi. Vi è tuttavia una generale concordia su un punto di fondo: occorre intervenire per garantire che la formazione per tutti e in particolare per i giovani sia adeguata e adeguatamente aggiornata sulle esigenze e sulle opportunità che l’evoluzione della tecnologia determina sul lavoro e nella società. È quanto emerge, con evidenza, da tutte le ricostruzioni e le ricerche su temi che di primo acchito potrebbero apparire anche distanti. La previsione del World Economic Forum secondo cui il 65% dei bambini che frequenta le elementari farà un lavoro che oggi non esiste, per esempio, e la ricerca della Stanford University, che rileva come «agghiacciante» la difficoltà dei giovani di ragionare sull’attendibilità delle informazioni trovate su internet richiamano in fondo, pur da punti prospettici differenti, una medesima questione di base: la necessità, per l’appunto, di interventi strutturali e duraturi in tema di formazione. E di iniziative nuove.
Tra queste merita una riflessione una opportunità che dalle interlocuzioni avute con il mondo degli imprenditori e dei giovani in questi mesi appare come matura per una sperimentazione: un liceo centrato sulla cultura digitale. L’obiettivo è prevedere, assieme a chi ha ruoli di responsabilità nell’Istruzione, un piano di studi per la scuola secondaria superiore basato sulla cultura digitale, che non la consideri come un elemento aggiuntivo e laterale, ma centrale; che sia strutturato sul digitale come gli Istituti tecnici Commerciali lo sono sulla ragioneria. Il primo obiettivo è favorire l’accesso a un lavoro, ancor più a un lavoro che sta nelle corde di tanti giovani, riducendo al minimo la distanza tra le competenze che il 'mercato del lavoro' chiede sempre di più e la mancanza cronica di una preparazione di base orientata alla cultura digitale. Più in generale la conoscenza guidata delle nuove tecnologie e della rete, delle sue opportunità, delle innumerevoli risorse, dei rischi che derivano per esempio da una gestione non adeguata della propria reputazione sul web, della necessità di distinguere le notizie affidabili dal fenomeno dilagante delle fake news può determinare evidentemente effetti molto più articolati sulle ragazze e sui ragazzi, sul loro grado di consapevolezza e sul loro modo di partecipare alla società.
Come tutte le iniziative da sola non può bastare e a monte vi è l’esigenza propedeutica di favorire sempre più la qualità dell’istruzione ovunque, strumenti adeguati per tutti, diffusione della cultura e della cultura digitale trasversalmente in tutte le discipline. Di formare persone prima che lavoratori. E tuttavia prevedere che alcuni licei sperimentino un percorso didattico che sia centrato specificamente sulla cultura digitale è una opportunità che merita un approfondimento e che non può essere di parte. Riguarda il futuro e ha una sua urgenza. Le ragazze e i ragazzi, le imprese lo sanno, tocca alla politica provare a rispondere e a porre le basi per far sì che la proposta si traduca in azioni tangibili, tenendo assieme apocalittici e speranzosi su un tema concreto e di possibile, doverosa, convergenza.
Annamaria Parente
Capogruppo Pd della Commissione Lavoro al Senato
Avvenire, 9 dicembre 2017