L’onda lunga dell’inverno demografico sta cominciando a lambire anche le università, con proiezioni preoccupanti per i prossimi decenni. E mentre gli atenei tradizionali faticano a trovare nuove matricole, quelli telematici fanno segnare un significativo aumento degli iscritti. Inoltre, restano «modeste» le risorse pubbliche per la formazione universitaria, ben al di sotto della media dell’Unione Europea.
È una fotografia con ancora tante zone d’ombra (ma anche con qualche luce), quella scattata dall’Area studi di Mediobanca al sistema universitario italiano. Che ha analizzato i dati e i risultati dei 61 atenei statali e dei 31 non statali o liberi (20 tradizionali e 11 telematici), focalizzandosi, innanzitutto, sul costante calo degli iscritti provocato dal calo demografico che, non da oggi, colpisce il nostro Paese e che avrà effetti importanti da qui ai prossimi anni. Il rapporto di Mediobanca stima che, nel 2041, le università italiane avranno circa 415mila studenti in meno (21,2%), che corrisponde a una diminuzione degli introiti da rette e contributi vari pari a oltre mezzo miliardo di euro. A soffrire maggiormente saranno le università del Sud, che subiranno un calo di iscritti maggiore rispetto agli atenei di altre aree del Paese. Con flessioni anche del 30% in Molise, Basilicata, Puglia e Sardegna e una media del 27,6% rispetto al, più contenuto ma non meno preoccupante calo del 18,6% del Nord e del 19,5% del Centro.
Una sfida titanica che andrebbe affrontata con un consistente sostegno da parte delle istituzioni. Che, invece, continua ad essere al di sotto delle necessità degli atenei e della media dei Paesi Ue e Ocse. Secondo l’analisi di Mediobanca, l’Italia continua da investire l’1% del Pil in educazione terziaria, rispetto all’1,3% della media Ue e all’1,5% dei Paesi Ocse. In termini di spesa pubblica, invece, investiamo l’1,5%, mentre l’Ue il 2,3% e i Paesi Ocse il 2,7%. Quasi il doppio. Ciò significa, molto concretamente, che il 33% circa della spesa in formazione è a carico delle famiglie italiane, contro il 14% della Ue e il 22% dell’Ocse.
Ciò nonostante, gli universitari italiani stanno sostenendo un’evoluzione positiva del sistema negli ultimi anni: nel 2022 il 77,2% degli iscritti è risultato regolare o in corso. Un bel passo in avanti rispetto al 66,6% del 2012.
Un altro punto dolente sottolineato da Mediobanca è l’età media elevata del corpo docente: il 56% ha almeno 50 anni, per un’età meda pari a 51,1 anni, che raggiunge il massimo tra i professori ordinari (58,2 anni). La quota di docenti universitari con meno di 40 anni è pari al 15,1%, contro il 19,7% della Spagna, il 30,5% della Francia e il 52,1% della Germania.
Il 41,3% dei professori è di genere femminile e in dieci anni la quota di rettrici è passata dal 7,5% del totale del 2012 al 12,1% del 2022. Un rapporto ulteriormente migliorato, dopo le votazioni effettuate negli ultimi due anni in diverse università, che hanno portato altre professoresse ad assumere la carica di rettrice.
Un capitolo a parte è dedicato alle università telematiche, apparse da circa un ventennio (tra il 2003 e il 2006) sulla scena nazionale. In tutto, gli atenei online sono undici e non potranno aumentare, dato che la legge finanziaria per il 2007 ha fatto espresso divieto all’autorizzazione di nuove università telematiche. Dal 2012, questi atenei hanno registrato una crescita importante: +112,9% il numero di corsi, +444% gli immatricolati, +410,9% gli iscritti, +102,1% il corpo docente, +131,3% il personale tecnico-amministrativo.
Ma come sta, in generale, il nostro sistema universitario? Alcune cifre segnalano un’evoluzione positiva del sistema negli ultimi anni. Nel 2022, il 77,2% degli iscritti risulta regolare o in corso, in evidente miglioramento dal 66,6% del 2012. In effetti, si legge nel rapporto di Mediobanca, le ultime coorti di
studenti triennali evidenziano una crescente percentuale di laureati in corso: per gli immatricolati del 2017/18, essa ha toccato il 38%, al termine di una regolare crescita che partiva dal 27,3% della coorte 2011/12. Ma anche in questo caso il dato medio nasconde dinamiche differenziate e il 38% si assortisce per tipologia di ateneo e area geografica: tocca il 45,1% nel Nord Ovest, per scemare al 29,9% del Sud e al 27,3% delle Isole; si ferma al 37,8% per gli atenei tradizionali e sale al 44,8% per quelli telematici. Tuttavia, a sei anni dall’immatricolazione e sempre per le lauree triennali, risulta laureato il 63,7% degli immatricolati, con un tasso di ritardo o abbandono che appare ancora troppo elevato. Mediamente, la laurea triennale viene conseguita a 24,4 anni, mentre attorno ai 27 anni si ottiene quella magistrale: l’età media di laurea è di 25,6 anni, anche in questo caso in calo dai 26,7 anni del 2012. In effetti, la popolazione universitaria degli atenei tradizionali si è ringiovanita nell’ultimo decennio: la porzione di quella con età fino a 23 anni è cresciuta dal 61,9% del 2011/12 al 66, 4% del 2021/22. Anche il voto medio di laurea è migliorato: da 102,7/110 nel 2012 a 104/110 nel 2022.
Paolo Ferrario
Avvenire, 13 luglio 2024