«Questa volta la preghiera si è levata dal cuore del sistema sanitario che sta combattendo questa battaglia contro il coronavirus». Usa questa immagine il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, per commentare la scelta della cappella del Policlinico Gemelli di Roma per la recita del Rosario. «La cappella, che è dedicata a san Giuseppe Moscati, un santo medico – spiega Giuliodori – è all’interno del Policlinico Gemelli che attualmente cura 400 pazienti positivi al Covid-19. Per farlo la direzione sanitaria ha riconvertito ben 12 reparti, ma continuiamo a essere un presidio sanitario indispensabile al territorio e alla sanità laziale anche per le altre patologie». Dunque è stato quanto mai significativo che la preghiera rivolta alla Madonna «partisse proprio da qui. Una preghiera in particolare per tutto il personale sanitario impegnato a contrastare in tutto il Paese e in ogni singolo ospedale, casa di cura e casa di riposo questa pandemia». Significativo a questo riguardo anche il fatto che a condurre ciascuna decina del Rosario siano stati due medici, una caposala, «e un frate minore e una suora di Maria Bambina, in rappresentanza delle due comunità religiose che da sempre operano, su volontà di padre Agostino Gemelli, nel Policlinico».
Il Gemelli, oltre che struttura ospedaliera di eccellenza, ha nel proprio Dna uno stile cristiano nel suo operare. Come si manifesta questo stile nei difficili giorni che stiamo vivendo?
Ogni giorno si riunisce l’unità di crisi del Policlinico per valutare problemi, azioni, interventi da mettere in campo. Ebbene, ogni mattina iniziamo quella riunione con un momento di preghiera proprio per non dimenticarci mai di guardare al malato come a una persona in cui si riflette il volto di Gesù. E anche i nostri cappellani, nel pieno rispetto delle regole, cercano di essere vicini umanamente e spiritualmente ai malati. A volte le parole non servono, basta uno sguardo, un gesto, una espressione del volto per far sentire la vicinanza a chi sta soffrendo.
La recita del Rosario si è conclusa con la supplica, da lei composta, a san Giovanni Paolo II. Perché questa scelta tra l’altro nel giorno del 15° anniversario della morte?
Giovanni Paolo II non solo è stato ricoverato qui al Gemelli dieci volte per un totale di 360 giorni, ma ha anche dato una luminosa testimonianza di come si possono affrontare le prove e le malattie. Lui ha condiviso nella sua carne il soffrire umano e nel suo magistero ci ha richiamato alla difesa della vita. E poi il suo rapporto con il personale medico e infermieristico, che ora gli affidiamo.
Un affidamento che estende anche a san Giuseppe Moscati, il medico santo a cui è dedicata la cappella in cui si è recitato il Rosario?
È un altro dei gesti simbolici che hanno voluto caratterizzare questo momento. Ricordiamo questo santo per ricordare tutti gli operatori sanitari che con dedizione, cura, professionalità non fanno mancare il loro impegno in questi giorni difficili.
Il Policlinico Gemelli è anche un polo universitario, una facoltà in cui preparano i futuri medici e infermieri. Come vivono questo momento i vostri studenti e i vostri specializzandi?
Credo che sia per loro un momento di formazione intenso e speciale, sicuramente non immaginato. Una formazione professionale, ma anche umana e spirituale in una situazione drammatica. Professionisti seri e preparati, ma con un stile che, come ho già detto, non dimentichi mai che davanti hanno persone e non malati. Persone in cui si riflette il volto di Gesù.
Enrico Lenzi
Avvenire, 3 aprile 2020