UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Giovani e fede, Millennials confusi ma «credere è bello»

Rapporto dell’Istituto Toniolo: per il 40% dei ragazzi dimensione religiosa importante. Bignardi e Dal Molin: ecco come accompagnarli
23 Aprile 2018

Cosa pensa il Millennial di Dio? C’è ancora spazio per vivere un’esperienza di fede comunitaria? In occasione dell’annuale pubblicazione del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, da ieri disponibile nelle librerie, si è svolto il convegno 'Accompagnare la fede dei giovani oggi', promosso dall’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia Università Antonianum.

«Il mondo giovanile è caratterizzato dalla ricerca del senso di Dio e della propria vita» ha spiegato, in collegamento via Skype, Paola Bignardi, coordinatrice dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e autrice del libro “Dio a modo mio”. «La dimensione religiosa, per molti giovani, è importante (abbastanza il 31,3 % e molto il 9,3%), però per la maggioranza (il restante 59,4%) ha un posto relativo e quasi nullo (sul totale il 26,5% dei giovani ha dichiarato che la fede non ha nessuna importanza)».

Dai dati presentati emerge che il Millennial conosce poco Gesù, non ama praticare la fede e preferisce pregare a modo proprio; pur chiedendosi a cosa serve la Chiesa e facendo fatica a comprendere il linguaggio utilizzato, cerca, nelle stesse comunità cristiane, relazioni vere.

Anche se confonde la fede con l’etica, il giovane ritiene bello poter credere in Dio, perché restituisce senso alla propria vita e inietta speranza, elimina la paura e a volte la sensazione della solitudine. «Ascoltando i giovani e ponendo loro le domande, che sono alla base del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, mi sembra che il cristianesimo contemporaneo abbia cinque sfide per riaccendere la fede nei giovani », ha spiegato Paola Bignardi. «Bisogna imparare ad ascoltare i giovani e confrontarsi con le loro ragioni; presentare loro un cristianesimo gioioso e contemporaneo; offrire l’esperienza di comunità cristiane dalle relazioni calde, umane e autentiche. Anche il linguaggio ha una sua importanza: deve essere schietto, comprensibile e legato alla realtà. Infine occorre ripensare l’identità e la qualità delle figure educative ».

Il tema della gioia e dell’amore che non sia timore è stato anche il focus dell’intervento di don Nico Dal Molin, dal 2007 al 2017 direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei: «Nell’ultimo anno ho trascorso molte ore in confessionale e ho scoperto come ci sia una grande difficoltà a trovare il volto sereno di Dio, a non sentirsi puniti o non amati. 'Scolpire l’amore di Dio nel cuore per non farlo cadere nell’oblio', disse Benedetto XVI nel 2012 in uno degli ultimi discorsi pronunciati. Colui che è chiamato ad accompagnare nella fede, si impegna a ridare entusiasmo al giovane, a rimotivare per continuare il cammino di ricerca e di raggiungimento della propria vocazione cristiana. Corriamo il rischio di diventare pragmatici e frenetici. L’accompagnatore conosce la fatica della scelta, l’ansia di prestazione, e insegna l’arte del cuore, essendo paziente, delicato, profondamente rispettoso. Ciascuno di noi non può vivere senza farsi mettere in discussione dall’altro».

Emanuela Genovese

Avvenire, 20 aprile 2018