UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Genitori in piazza da Nord e Sud

In diciotto città per chiedere di ricominciare senza sperimentazioni nè turni.
25 Maggio 2020

«Sostituire la maestra con un computer? No, grazie. La didattica a distanza non basta perché aumenta le già profonde diseguaglianze e favorisce la dispersione scolastica». Insomma, si riaprano le aule dopo l’estate ma senza turni nè sperimentazioni tipo “metà classe a casa e metà davanti alla lavagna”, come ipotizzato dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. E poi bisogna investire di più in personale, strutture e tecnologia.

Ecco i punti fermi della protesta di migliaia di genitori scesi in piazza ieri pomeriggio insieme ai loro figli e a tanti insegnanti, per chiedere a gran voce la ripresa delle lezioni a settembre «in presenza, continuità e sicurezza». La mobilitazione, promossa dal Comitato “Priorità alla scuola”, costituito da famiglie e insegnanti, ha toccato diciotto città, da Torino a Trapani. Niente cortei, per le misure di contenimento del virus, ma presìdi a numero limitato, distanziamento fisico, mascherine sul volto, striscioni, cartelli e manichini simbolo. E c’è anche chi ha partecipato sui social. L’idea-forza della protesta è che la socializzazione, lo stare insieme tra studenti e docenti, deve ridiventare una componente essenziale della funzione educativa propria della scuola. Una frase di Antonio Gramsci, «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza» è stata lo slogan che ha guidato la manifestazione. A Bologna in piazza Maggiore, erano in 400, a Genova l’appuntamento è stato davanti alla Prefettura dove c’erano 300 persone, a Firenze in piazza Santissima Annunziata, dentro i cerchi disegnati per terra coi gessetti in 1.200 hanno urlato «la scuola va riaperta». A Milano duemila si sono divisi in gruppi davanti a cento scuole. «Usciamo dagli sche(r)mi» s’è visto scritto su un cartello in piazza Dante a Napoli (500 i manifestanti). Al bastione Saint-Remy di Cagliari si sono ritrovati in più di cento: giorni fa le famiglie avevano rivolto un appello al presidente della Regione Christian Solinas: «La Sardegna ha pochi contagi, faccia almeno salutare le maestre ai bambini». E chissà...

Le stesse richieste espresse nella manifestazione furono l’oggetto, il 18 aprile, di una lettera aperta alla ministra Azzolina sottoscritta da 85mila tra mamme, papà e insegnanti. «E siccome non ci sono state risposte – spiega Maddalena Fragnito, del coordinamento “Priorità” – abbiamo deciso di scendere in piazza in tutto il Paese». «Le scuole devono diventare l’unico presidio di sanità pubblico certo e trasparente, molto di più delle aziende private – aggiunge Fragnito –, l’istruzione è un diritto fondamentale e questi bambini e ragazzi che non sono stati considerati, devono tornare al centro del dibattito. Un Paese senza istruzione è morto». Il nodo dunque, resta riattivare appena possibile le lezioni interrotte in aula dopo Carnevale. Lo vorrebbe anche il governatore del Veneto, Luca Zaia che intanto ha annunciato: «Riapriamo gli asili, domani l’ordinanza». E di riaprire i cancelli prima dell’estate, magari solo per i “saluti di fine anno” si parla pure negli uffici di viale Trastevere, dove la viceministra all’Istruzione, Anna Ascani, ha lanciato la proposta, limitandola però alle ultime classi dei singoli cicli didattici. E se non dovesse passare, si ritorni tra i banchi dopo il 31 agosto. È d’accordo anche Azzolina che ha risposto ai manifestanti: «È una priorità per il governo, siamo al lavoro insieme al Cts per la ripresa delle lezioni in presenza e in sicurezza a settembre». Ma con quale “modalità”? «Settembre è il mese del ripensamento», cantava Guccini nella Canzone dei dodici mesi: famiglie, studenti e insegnanti del comitato “Priorità” sperano che sia così anche per la ministra che, a quanto sembra, vorrebbe lavoro da remoto a turno affiancato a quello vis-à-vis. E se invece si tornasse “all’antico”? La decisione, in ogni caso, va presa subito.

Fulvio Fulvi

Avvenire, 24 maggio 2020