UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Gender, capire per educare meglio

Alla Pontificia Facoltà Auxilium un corso interdisciplinare su corpo, genere e identità, per comprendere a fondo e acquisire competenze per accompagnare i giovani
2 Dicembre 2024

«Il genere fa riferimento alla vita più intima delle persone, al bisogno di riconoscimento, alle emozioni e ha purtroppo il potere di infiammare gli animi: la logica e il dialogo cedono il passo a una retorica incendiaria, sia dei promotori sia dei detrattori. Nella teoria del gender ci sono domande e idee interessanti, persino feconde, altre problematiche, come il credere che la differenza sessuale sia un’astuzia del patriarcato e quindi una strategia di controllo».

Lo ha puntualizzato Susy Zanardo, docente di filosofia morale all’Università Europea di Roma, intervenendo nella mattinata del 23 novembre alla tavola rotonda su “Identità di genere: coordinate e prospettive antropologiche e giuridiche” organizzata dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione “Auxilium” nell’ambito del corso interdisciplinare “Identità di genere: sfide e prospettive per gli educatori”, con un secondo appuntamento ieri, sabato 30 novembre. Obiettivo? «Avere coordinate concettuali e culturali per affrontare il fenomeno con maggiore competenza. Lo stile è quello di comprendere per poter accompagnare», ha chiarito la psicoterapeuta Maria Grazia Vergari, docente all’Auxilium e moderatrice dell’incontro.

In un mondo in cui «si parla di diaspora e liquefazione dei generi» e in cui «addestriamo all’accelerazione e alla prestazione, viene avanti un’economia pulsionale: facciamo diventare il desiderio di senso e di amore una pulsione senza elaborazione psichica», ha insistito Zanardo. Citando il volume autobiografico di Paul B. Preciado, Testo tossico (Fandango), la professoressa ha affermato: «Viviamo in un regime farmaco-pornografico». L’autrice del libro ha deciso di autosomministrarsi testosterone fuori dal protocollo medico-giuridico di cambiamento di sesso, mostrando che gli ormoni sintetici – a partire dalla loro scoperta negli anni Cinquanta – hanno cambiato nella sostanza la formulazione e la costruzione delle identità e che l’industria farmaceutica e quella pornografica fanno affari creando desiderio.

«In Italia, in caso di disforia di genere, è possibile prescrivere farmaci rimborsabili che bloccano la pubertà fisiologica, ma non sappiamo quanti sono i ragazzi trattati», ha riferito Assunta Morresi, docente associata di Chimica fisica all’Università degli Studi di Perugia e vice-capo Gabinetto della Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità. Che ha puntualizzato: «Penso che una transizione di genere fra minori non dovrebbe avvenire, perché si tratta di un processo irreversibile nel corpo: bisogna invece farsi carico della loro sofferenza e accompagnarli. Spesso questi ragazzi e ragazze (fra loro la percentuale è più alta) hanno problemi di orientamento sessuale e non di identità di genere. Il 75% della disforia di genere tra i minori è a carico delle femmine, che non si sentono bene nel loro corpo, mentre la percentuale si rovescia nell’età adulta». Secondo Morresi «ci dovrebbe essere un’équipe multidisciplinare che segue questi casi: ci sono centri in alcuni ospedali». Ma occorre sapere che «dopo i bloccanti, gli ormoni mascolinizzanti o femminilizzanti cross sex si prendono a vita. Non ci sono ancora sperimentazioni adeguate e controllate sui farmaci che bloccano la pubertà fisiologica in caso di disforia di genere per migliorare la sofferenza del non allineamento della mente rispetto al corpo. Si parla di problematiche rispetto allo sviluppo cognitivo, emotivo, delle ossa, con casi di osteoporosi giovanile». Morresi ha citato “The Cass Review”, report pubblicato lo scorso aprile nel Regno Unito sul trattamento della disforia di genere in bambini e ragazzi «che sta ridisegnando il Servizio sanitario nazionale britannico. Uno strumento che, pure messo a punto per offrire ai minori coinvolti il miglior supporto e competenze possibili durante tutto il periodo della loro cura, pone gravi interrogativi sulla possibile pressione verso scelte a volte irreversibili sul piano fisico e psicologico e, conseguentemente familiari, e sociali. In Svezia il tema è stato trattato come malasanità sulla tv pubblica nel programma “Trans train”: sta emergendo il fenomeno della de-transizione di persone che capiscono come la disforia di genere fosse uno dei sintomi del malessere legato all’identità di sé, in cosentire morbilità con disturbi alimentari, psichici o dello spettro autistico o neurodivergenze».

Zanardo ha chiarito: «Se svuotiamo il corpo di senso, facciamo che sia un luogo dove si radunano paure e incertezze identitarie, diventando anche il ricettacolo di un diffuso disorientamento. Nel 2021 lo psicologo e sessuologo Massimo Di Grazia indicava in un rapporto che fra gli adolescenti il 16% non si sente binario e per ogni ragazzo si contano 6 ragazze». Questo dato segnala «una grande fatica a diventare se stessi, a costruire l’identità: ragazze che mostrano disforia nei confronti del ciclo, non accettano il seno, e ragazzi che non accettano il pene. Il corpo viene segmentato, frammentato, fatto a pezzi, come scrivono autori non binari: nel suo romanzo Perché sono da sempre un corso d’acqua, edito da Il Saggiatore, Kim de l’Horizon scrive: “Ancora oggi non riesco a bene il mio corpo. Non so dove comincio e dove finisco”». Parole che esprimono una fortissima sofferenza da intercettare. E Zanardo, pur sviscerando le analisi della filosofa Judith Butler contenute nel volume Chi ha paura del gender? (Laterza), convinta che il gender «non sia un’ideologia e cioè un’azione sistematica di indottrinamento», sostiene: «Gli studi di genere sono da esaminare criticamente, non da rifiutare». Premesso che «vanno combattuti tutti gli atti di violenza nei confronti delle persone lgbtq+, si chiede «come stare vicino a identità non binarie senza cancellare la differenza sessuale, che secondo l’antropologia biblica è costitutiva, relazionale e generativa: maschile e femminile non possono essere eliminati dalla storia». Quindi è necessario «imparare a scoprire il sentire dell’altro, quanta differenza si è capaci di accogliere e quanta estraneità abita in se stessi, trovando spazi di dialogo e riflessione in cui tutti possano riconoscersi».

Per Sergio Cicatelli, docente di discipline pedagogiche e giuridiche in diverse università pontificie, «da un lato esiste il problema dell’attribuzione o del riconoscimento di un’identità, dall’altro della sempre possibile discriminazione per identificare i comportamenti condannabili. Da un punto di vista giuridico il principio su cui ci si può basare è quello di uguaglianza sociale, già contenuto nella Costituzione, da cui può derivare il principio operativo della parità di trattamento o delle pari opportunità fra tutti i cittadini. Gli insegnanti devono sapersi muovere in un quadro ancora piuttosto incerto, garantendo anzitutto il rispetto di ogni persona e guardando sempre al bene comune, evitando di rispondere a prese di posizione ideologiche con altrettanti posizioni ideologiche: le rivendicazioni avanzate dai sostenitori della cultura gender devono essere ricondotte alla normativa vigente senza balzi in avanti».

Laura Badaracchi

Avvenire, 1 dicembre 2024