Sono talmente deluse che non hanno nemmeno più voglia di arrabbiarsi. È così che le famiglie stanno vivendo l’ennesimo tira e molla sulla ripresa della scuola in presenza, secondo Giancarlo Frare, presidente Agesc, l’Associazione dei genitori delle scuole cattoliche. «Sulla ripartenza si era creata una forte attesa, su cui questo ennesimo rinvio ha avuto l’effetto di una doccia gelata», sintetizza Frare, padre di quattro figli.
Che cosa vi ha deluso di più?
Questo ulteriore slittamento è la dimostrazione che chi avrebbe dovuto organizzare la riapertura non ha lavorato bene. Mettendo davvero la scuola tra le priorità. Faccio un esempio. Uno dei miei figli è rientrato poco prima di Natale dal Portogallo, dove era in Erasmus. Anche durante la pandemia ha continuato a frequentare in presenza, perché ai giovani erano imposte altre limitazioni, come il “coprifuoco” dalle 14 il sabato e la domenica. Così facendo, però, l’università è sempre rimasta aperta. Adesso, invece, sarà costretto, come tutti, a ricominciare i corsi a distanza.
Quanto stanno pesando questi mesi di didattica a distanza sulla crescita dei figli?
Non lo diciamo solo noi genitori, ma tutti gli esperti confermano che questo periodo avrà conseguenze devastanti su tanti ragazzi. Può rappresentare un danno enorme e va a colpire chi non ha voce e magari nemmeno gli strumenti per sopportare una situazione del genere. Gli studenti sono una categoria completamente dimenticata e le famiglie fanno sempre più fatica a reggere questa situazione.
Come se ne parla nelle case?
Per tanti genitori è difficile spiegare ai figli, soprattutto ai più giovani, perché non possono ancora rientrare a scuola. Le famiglie erano consapevoli di correre un rischio, ma erano disposte a compiere questo passo pur di non far perdere ulteriori giorni di scuola ai ragazzi. Che, dal canto loro, hanno accettato tutte le regole, sono stati più che diligenti e ora si trovano nuovamente al palo. I giovani si fidano degli adulti, di genitori e insegnanti. Non dicono nulla ma vedono tutto. E si ricordano delle promesse fatte e puntualmente disattese. Questo è un colpo basso che le famiglie non meritavano.
Che cosa si poteva fare, di diverso, per non ritrovarsi in questa situazione?
Il Ministero avrebbe dovuto lasciare maggiore autonomia alle scuole, di organizzare la ripresa a seconda dell’andamento dei contagi nei singoli territori. L’autonomia scolastica esiste dal 1997 ma non è stata ancora pienamente attuata. Così, nuovamente, si è deciso di centralizzare tutto e questi sono i risultati.
Da mesi le scuole paritarie offrono disponibilità di spazi agli istituti statali, per garantire la ripresa in sicurezza per tutti. Li hanno chiamati “Patti di corresponsabilità educativa” e nessuno ha avuto da dire. Poi, però, non se n’è mai fatto nulla. Perché?
Perché alla fine ha vinto l’ideologia. Ancora una volta. Non si spiegherebbe altrimenti perché sono stati ricercati spazi dappertutto, persino in contesti inadatti ad ospitare studenti e nessuno ha pensato di bussare alle scuole paritarie. Che, invece, si sono organizzate per tempo e bene. E sono ripartire in sicurezza, almeno fino a quando è stato possibile frequentare in presenza. In tutto questo, ripeto, c’è molta ideologia e, mi si consenta, non poca sciatteria.
Così siamo arrivati all’11 gennaio: sarà la volta buona?
Tre giorni in più non cambiano la situazione. Staremo a vedere. Prima vogliamo vedere i fatti, toccare con mano che qualcosa davvero è stato fatto per consentire ai nostri figli di tornare a scuola e voltare pagina rispetto a una situazione che sta pesantemente e ingiustamente condizionando il loro futuro.
Paolo Ferrario
Avvenire, 6 gennaio 2020