Proprio nel giorno del flash mob delle scuole paritarie fuori dalla Camera, promosso per sostenere la richiesta di finanziamenti adeguati al comparto e la «libera scelta delle famiglie», dal ministero dell’Istruzione arriva la notizia che i 29 milioni di risorse europee per istituire smart class alle superiori (tramite l’acquisto di computer, tablet, proiettori, webcam e scanner, ma anche sofware e licenze per piattaforme di e-learning e monitor touch screen), sono destinati esclusivamente alle scuole statali. Si tratta di un bando Pon (Programma operativo nazionale) che, tra l’altro, ha l’obiettivo, si legge nell’avviso pubblicato sul sito ministeriale, «di garantire pari opportunità e il diritto allo studio». Ma soltanto agli alunni delle scuole statali, escludendo, quindi, gli oltre 110mila studenti delle secondarie di secondo grado paritarie.
Interpellato in merito, il ministero risponde che, trattandosi di «risorse Fesr e non Fse, la Commissione ha espresso difficoltà in merito alle paritarie» e «con una successiva nota interpretativa ha espresso alcune perplessità rispetto a finanziamenti che costituiscono investimenti per beni durabili». Ma proprio per superare queste difficoltà, l’8 febbraio 2018, dopo un lavoro di un anno e mezzo tra il nostro governo e le istituzioni europee, è stato modificato l’Accordo di partenariato tra la Commissione europea e l’Italia per la politica di coesione. Sul punto in questione, l’Accordo ora recita: «Il Fse e il Fesr interverranno nel sistema nazionale di istruzione». Che, per la legge 62 del 2000, è composto sia dalla scuole statali che dalle paritarie ed entrambe svolgono un servizio pubblico. (La legge 62 del 2000 CLICCA QUI fu voluta dal ministro dell'Istruzione, Luigi Berlinguer, del governo Prodi ndr)
La questione fu sollevata dal segretario nazionale della Fism ed europarlamentare, Luigi Morgano, in un’interrogazione del 7 giugno 2018. «Le risorse del Fondo sociale europeo e del Fondo europeo di sviluppo regionale sono generalmente assegnate sotto il controllo dello Stato, il quale seleziona i progetti da finanziare», scrisse nella risposta la commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager. Quindi, non è l’Europa che dice agli Stati come usare queste risorse, ma sono i singoli governi a decidere. E quello italiano ha deciso di discriminare, ancora una volta, le scuole paritarie.
«Su questa faccenda presenterò un’interrogazione», sbotta il deputato di Italia Viva, Gabriele Toccafondi che, da sottosegretario all’Istruzione aveva seguito passo passo l’iter di modifica dell’Accordo di partenariato. «È stato un percorso lungo e tortuoso, che non può essere mandato a monte così», aggiunge. «Sembra che il tempo sia passato invano», sottolinea la vice-presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Maria Grazia Colombo, che dal 2016 è impegnata su questo fronte. «Con gli allora ministri Fedeli e De Vincenti siamo andati al fondo della questione – ricorda – scoprendo, tra l’altro, che da parte dell’Unione europea non c’era alcuna volontà di discriminare le scuole paritarie e che il problema, invece, era la burocrazia ministeriale. Come, purtroppo, anche questo caso conferma».
A vent’anni dalla legge, la strada verso la completa parità è, dunque, ancora disseminata di ostacoli. Anche se qualcosa si muove, come ha testimoniato la manifestazione di ieri pomeriggio fuori da Montecitorio, promossa da una molteplicità di sigle della scuola non statale. Dopo il web pressing di lunedì, parlamentari di tutti i partiti si sono presentati in piazza, per confermare l’impegno ad aumentare i 150 milioni per le paritarie, previsti dal decreto Rilancio. Una somma che, però, non è sufficiente ad evitare la chiusura, a settembre, del 30% degli istituti (soprattutto nidi e materne), con il conseguente passaggio di 300mila alunni alle statali, per una spesa di almeno 2,4 miliardi di euro.
«Abbiamo una grande opportunità: restituire centralità al Parlamento, trovando un accordo trasversale tra le diverse forze politiche che consenta alle scuole paritarie di potere non solo sopravvivere ma proseguire nella loro missione per educare i nostri figli», ha proposto la capogruppo di Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini. E ad «ascoltare il grido di dolore che viene dalle scuole», ha invitato anche il deputato di Leu, Stefano Fassina: «Servono risposte concrete affinché, a settembre, tutte le scuole paritarie possano continuare a svolgere l’importante servizio per il Paese».
Da parte della senatrice Tiziana Drago, del Movimento 5 stelle, l’unico contrario a sostenere le paritarie, è infine arrivata la proposta di dare alle scuole la possibilità di accedere al credito fiscale. Meccanismo che, ha spiegato la parlamentare, consentirebbe ai gestori di abbattere le rette a carico delle famiglie.
Paolo Ferrario
Avvenire, 19 giugno 2020