UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Educazione e cultura digitale, le sfide aperte

Gli interventi di mons. Repole e dei professori De Martin, Riva e Marchisio al seminario promosso dalla Commissione Episcopale per l’educazione cattolica
15 Maggio 2023

Diversi i relatori che sono intervenuti al seminario sull’educazione nei nuovi scenari culturali promosso venerdì 12 maggio 2023 dalla Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università. Di seguito una sintesi dei singoli interventi, a cura dell’agenzia Sir.

Mons. Repole, “Rispetto al mondo digitale, ci troviamo a dover operare un discernimento”

“Rispetto a un mondo digitale, che caratterizza il più vasto mondo degli uomini, ci troviamo a dover operare un discernimento, tanto più, se lo vediamo in chiave educativa”. Lo ha detto mons. Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, durante il seminario di studio nel contesto del cammino sinodale, intitolato “Quale educazione nei nuovi scenari culturali digitali?”, organizzato oggi dalla Cei per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, presso l’Auditorium palazzetto Aldo Moro di Torino. “Penso – continua – alla interconnessione come strumento per una forma nuova di resistenza al totalitarismo. Non possiamo però non vedere le potenziali inquietudini: il mondo digitale ci rende sì tutti interconnessi ma potrebbe allentare i legami sociali autentici. Credo che oggi uno degli elementi di crisi delle democrazie moderne e dell’eccesso di violenza sia dovuto anche al mondo digitale e a ciò che può produrre. Ha senso che stamattina ci troviamo qui per ascoltare degli esperti, ciò può essere declinato in un atto di discernimento ponendoci due domande: cosa sta avvenendo e cosa possiamo fare considerando che siamo umani e nulla che non sia umano ci è estraneo?”.

De Martin (Politecnico di Torino), “la tecnologia dovrebbe essere orientata a fini umani e sociali”

Viviamo un’epoca contraddistinta dall’accelerazione che influenza ogni settore, anche quello educativo. Su questo tema è intervenuto Juan Carlos De Martin, ordinario di ingegneria informatica e co-direttore del Centro Nexa su Internet e Società nonchè vice rettore per la cultura e la comunicazione del Politecnico di Torino, durante il seminario intitolato “Quale educazione nei nuovi scenari culturali digitali?”, questa mattina a Torino. “Non abbiamo messo bene a fuoco e tratto le conseguenze – sostiene –  che dal 1945 sono avvenuti cambiamenti che hanno mutato la società. Gli abitanti della città sono passati da 700 milioni a 3,5 miliardi. L’inquinamento è aumentato tantissimo, al punto che si stima che l’80% di chi vive in città respiri aria insalubre e questa percentuale sale al 96% nei paesi poveri”. Da questa grande accelerazione discendono sei crisi, come ricorda il docente: la sofferenza del Pianeta, la sfida democratica, economica, tecnologica, geopolitica e contro il declino del nostro Paese. “La tecnologia – spiega – dovrebbe essere orientata a fini umani e sociali. L’università dovrebbe esplorare gli usi con discernimento, capire quando e come usare la tecnologia, sapendo che il rapporto educativo è sempre interpersonale e si sviluppa per lo più in presenza”. È fondamentale che l’università dia gli strumenti per comprendere il fascio di tecnologie digitali che vive una grande accelerazione”. Basti pensare come stia avvenendo una “computerizzazione del mondo, visto che sono sempre più piccoli e collocati ovunque. Occorre chiederci quali sono i fini e i limiti perché si può ancora dire che certe cose non possono essere fatte”. Il docente non si dichiara contrario alla “tecnologia ma in favore dell’umanità”. “L’università – conclude – dovrebbe fare i conti con la grande accelerazione, interrogare il fenomeno perché in linea di principio si può guidare. Abbiamo bisogno di coltivare l’immaginazione di come vivere insieme il rapporto con la natura e immaginare che un diverso uso della tecnologia per fini migliori”.

Riva (Università Cattolica del Sacro Cuore), “aumentare il potere della comunità fisica con il digitale”

“Non dobbiamo sostituire la comunità fisica con quella digitale ma aumentare il potere della comunità fisica attraverso lo strumento digitale”. A dirlo è Giuseppe Riva, ordinario di Psicologia generale e Psicologia della Comunicazione, direttore dello Humane Technology Lab dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, durante il seminario dedicato dalla Cei all’educazione e al digitale questa mattina a Torino. “Chi ha provato – afferma -, sia come docente sia come studente, la formazione a distanza durante la pandemia non è rimasto soddisfatto. Il 70% dei docenti del nostro ateneo non ha amato la modalità e ancora di più l’hanno sofferta gli studenti”. Come spiega il docente, lo scarso appagamento ha spinto a individuare le caratteristiche della modalità tradizionale di insegnamento in presenza: “L’attività formativa – sostiene Riva – si basa sul rapporto fra studente e docente, sull’essere in un luogo e in particolare in una classe. Il senso di luogo ha un ruolo fondamentale nei nostri processi cognitivi poiché noi umani siamo i luoghi che frequentiamo. Il luogo infatti è il primo aggregatore dei meccanismi della memoria, costruisce l’autobiografia e il senso di identità che permette di capire chi siamo. Se tolgo il luogo – sottolinea -, l’identità non c’è più. Le neuroscienze ci dicono che la scuola non ha solo l’obiettivo di darci informazioni ma di renderci anche parte di una comunità. Se non l’abbiamo, sperimentiamo un senso di assenza. Se usiamo la tecnologia – aggiunge – come complemento di una comunità, lo strumento funziona. Ma se devo costruire una comunità, solo con la tecnologia non ci riesco”. Le scoperte tratte dagli studi delle neuroscienze dicono che nel rapporto fra docente e studente entrano in gioco i neuroni specchio che permettono la creazione di un legame empatico. “Se siamo su Zoom o Meet – afferma – il rispecchiamento non c’è più; gli studenti non riescono a essere coinvolti, non sentono la passione e il ruolo di chi li deve guidare. Le neuroscienze ci dicono inoltre che la tecnologia ha messo in crisi la capacità di stare in gruppo per trovare soluzioni collettive, ovvero, la sincronizzazione delle onde cerebrali i cervelli che si uniscono e vanno oltre la somma. Fare attività creativa su Zoom infatti non funziona”. Tuttavia, come riconosce il docente, esistono anche le comunità on line: “ma – osserva – sono diverse. Quelle fisiche sono comunità di soggetti diversi, avvicinano le persone che altrimenti non si sarebbero incontrate. Le comunità digitali sono l’opposto, sono comunità di uguali. Nelle comunità fisiche si devono per forza sviluppare dei meccanismi democratici, per permettere a tutti di dire la propria. In quelle digitali, si innescano processi di polarizzazione che non permettono uno scambio”.

Marchisio (Università di Torino), “gli ambienti digitali d’apprendimento generano inclusione”

“L’ingrediente principale per valorizzare l’esperienza del Covid è la consapevolezza di un ambiente digitale di apprendimento, cioè un ecosistema di apprendimento e sviluppo di competenze supportate e promosse, con componenti tecnologiche, umane e di interrelazione”. A sostenerlo è Marina Marchisio, ordinario di Matematiche Complementari, esperta di didattica di emergenza e di didattica digitale integrata dell’Università di Torino, delegata del Rettore per lo sviluppo e la promozione delle strategie di Digital Education dell’ateneo. La docente è intervenuta questa mattina al seminario di studio, organizzato dalla Cei per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, presso l’Auditorium palazzetto Aldo Moro di Torino. “Un ambiente digitale di apprendimento che si può usare in presenza, in modalità ibrida o virtuale – ha spiegato l’esperta – , permette di superare le barriere spaziali e geografiche”. “Perché se voglio lavorare con gli studenti in Namibia, mentre sono a Torino, posso farlo. Ma può essere utile anche per continuare a lavorare su uno stesso argomento a casa in collegamento”.  Altri vantaggi – evidenzia la docente – sono da ricercare nella capacità degli ambienti digitali d’apprendimento di generare inclusione perché “mettono a disposizione risorse aperte a tutti, diverse e a vantaggio dell’economicità, dell’interazione e della varietà di prospettive differenti. Un esempio – ricorda l’esperta – è il progetto “compiti@casa”, promosso dalla Fondazione De Agostini e l’Università di Torino, che svolge un servizio di accompagnamento a distanza, da parte di studenti universitari di 300 ragazzi che abitano le periferie delle grandi città contro l’abbandono scolastico e in favore del superamento delle difficoltà”.

Sir, 12 maggio 2023