Per otto mesi è rimasta chiusa in un cassetto e adesso, a cento giorni dalla fine della legislatura, riemerge e si impone nell’agenda del Parlamento. Appoggiata da Pd, Movimento Cinque Stelle e Mdp, la proposta di legge “Educazione di genere” sarà posta in discussione da giovedì nella Commissione Cultura della Camera e i proponenti vogliono imporre la massima accelerazione al dibattito per arrivare, quanto prima, in Aula. L’obiettivo è seguire, in parallelo, il percorso delle Linee guida dell’articolo 16 della Buona scuola, quello sui Piani dell’offerta formativa, cercando di “indirizzare” il dibattito che il Ministero dell’Istruzione sta portando avanti da tempo attraverso anche il coinvolgimento delle associazioni delle famiglie. Che, sul tema dell’educazione di genere, sono rimaste scottate più volte nel recente passato e ora temono nuovi colpi di mano tesi a introdurre la 'teoria gender' nelle scuole. Da qui l’irritazione che, in questi giorni, si respira nei corridoi di viale Trastevere, dove chi ha pazientemente tessuto i rapporti con le associazioni delle famiglie, ora teme che tutto torni a ingarbugliarsi. Anche dal punto di vista politico, dato che, nella maggioranza, Alternativa popolare ha già detto chiaramente che non appoggerà la proposta di legge.
A far alzare le antenne alle famiglie, sono alcuni passaggi rivelatori del testo in discussione alla Camera. All’articolo 3, per esempio, si legge che la programmazione delle attività nelle scuole potrà contare sul supporto di «organismi/ esperti esterni». E qui torna ad aleggiare il fantasma dell’Istituto Beck, autore degli ormai famosi (e famigerati) libretti Unar “Educare alla diversità a scuola” che, dopo le vibranti proteste delle associazioni dei genitori, sono stati tolti dalla circolazione dallo stesso Ministero. Senza dimenticare la Strategia nazionale 2013-2015, predisposta con la consulenza esclusiva di 29 associazioni Lgbt e senza il minimo coinvolgimento delle rappresentanze familiari, a partire dal Forum. I sospetti si fanno ancora più forti quando, poco più avanti, si legge che «il piano per l’educazione socio-affettiva e di genere è volto allo sviluppo delle competenze socio-affettive e di genere, attraverso la promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali, l’eliminazione di stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socioculturali fondati sulla discriminazione delle persone in base al sesso».
Parole e concetti molto simili a quelli, appunto, della Strategia nazionale, che lega gli episodi di bullismo a «problemi legati a una cultura che prevede soltanto una visione eteronormativa e modelli di sessualità e norme di genere», mentre «le tematiche Lgbt trovano spazi marginali nelle aule scolastiche». Che la proposta di legge punti a un riequilibrio?
Paolo Ferrario
Avvenire, 3 ottobre 2017