UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Educare senza strumentalizzazioni ideologiche

La pedagogista Livia Caldei: «Ai bambini si può parlare di corpo, affetti e differenze con mediazioni responsabili»
6 Novembre 2020

Accompagnare i giovanissimi oltre gli stereotipi ma senza cedere a strumentalizzazioni ideologiche. Parlare ai bambini di questioni complesse è possibile, ma al momento giusto e con le opportune mediazioni da parte degli insegnanti. È il parere di Livia Cadei, docente di pedagogia in Cattolica, presidente della Confederazione nazionale dei consultori familiari di ispirazione cristiana.

Quali rischi si potrebbero determinare con questa legge che impone di parlare di omofobia, transfobia, bifobia alle scuole elementari?

Il tema è di quelli sottoposti ad ampia e lunga strumentalizzazione. Va detto che le indagini statistiche effettuate su tale fenomeno, anche recenti, disegnano un quadro che desta attenzione nei confronti anche dei giovanissimi, tra i quali si riscontrano stereotipi e pregiudizi nei confronti di coetanei di orientamento sessuale dissimile dai propri. È fuori discussione che occorra vigilare su ogni forma di discriminazione e che il mondo educativo sia chiamato a confrontarsi con il tema della diversità.

Dal punto di vista pedagogico, quali difficoltà nell’affrontare questi temi con bambini così piccoli?

Credo che ai bambini si possa parlare di differenza, rispetto, emozioni, corpo, affetti e relazioni. La scuola è luogo di convivenza, palestra per le relazioni sociali, spazio in cui si impara a vivere solidarietà empatia ed il rispetto della persona nella sua globalità. Conta la sapienza educativa del 'giusto momento', che non si sottrae alla responsabilità di mediazione. Dal punto di vista pedagogico, cioè l’attenzione da non mancare è quella di porsi dalla parte dei bambini, per prevenire ogni forma di bullismo. Non credo si tratti di trasmettere loro un contenuto legato ad una norma. La scuola è un luogo di conoscenza nel quale giocano un ruolo competente gli insegnanti, che propongono mediazioni adatte al modo con il quale il bambino sta nel mondo. Occorrono linguaggi adatti e vicini.

Ritiene che la preparazione degli insegnanti su questi temi sia mediamente sufficiente? Non c’è il rischio che tanti, per evitare complicazioni, finiranno per adeguarsi, presentando questi problemi nella logica del politicamente corretto?

Il disegno di legge sottolinea 'come atti di intolleranza e di discriminazione hanno inaccettabili ripercussioni non solo sui singoli soggetti vittime di tali atti, ma anche sull’intera società, che risulta indebolita nei suoi valori fondamentali di convivenza'. La prospettiva è esigente nei confronti delle attese verso una società matura e capace di dialogare con le differenze. In questo senso, occorre sostenere gli insegnanti nella ricerca e nella formazione per liberare lo spazio educativo dal gioco ideologico. Occorre offrire occasioni, percorsi di formazione e confronto per arricchirne le conoscenze e le competenze. Diversamente, resta sul campo un’indicazione normativa soggetta a strumentalizzazione.

Non crede che anche per le nostre associazioni impegnate in ambito educativo sia necessario avviare percorsi di formazione per attrezzarsi ad affrontare queste nuove sfide che potrebbero anche rivelarsi un’opportunità?

Certo, credo che sia un’opportunità per assumere l’impegno educativo di lavorare per una società di uguaglianza e una cultura dell’accoglienza. Penso che l’attenzione sia quella di non lasciare la scuola da sola a svolgere il compito educativo, ma di attrezzarsi, approfondire, formarsi per prendersi cura insieme delle generazioni future.

Quando parliamo di omosessualità e di transessualità siamo spesso di fronte – soprattutto nel secondo caso – a situazioni di grande sofferenza. Difficile soprattutto generalizzare, quando ogni situazione è diversa dall’altra. Ecco, come è possibile rappresentare questa complessità ai bambini delle scuole elementari, rimanendo su un terreno neutro, che non induca né alla banalizzazione né alla demonizzazione?

Penso che la scuola abbia tra i propri compiti quello di predisporre un ambiente di clima sereno, in cui si possa crescere interrogandosi e sperimentando il piacere di conoscere. Forse non si tratta di un terreno neutro, ma di porre le condizioni perché si sperimenti insieme la possibilità di convivenza prevenendo emarginazione, offesa e bullismo, condizioni di sofferenza.

Parlando sull’aereo di ritorno dal viaggio in Georgia e Azerbaigian (2 ottobre 2016), papa Francesco, accennando alla cosiddetta teoria del gender, ha invitato a rifiutare i tentativi di 'colonizzazione ideologica', ma anche ad accogliere e comprendere tutte le situazioni di sofferenza. Come sarà possibile, in riferimento soprattutto agli insegnanti delle scuole paritarie, trovare questo equilibrio didattico?

Papa Francesco si sofferma senza timore su questo tema e al centro mi sembra ponga sempre l’uomo, accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo, indicazione che, mi pare, contenga il punto di equilibrio per interrogarsi verso la 'colonizzazione ideologica' e lasciarsi interpellare dall’accoglienza.

Luciano Moia

Avvenire, 5 novembre 2020