UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Didattica in classi multietniche, sfida e risorsa per tutti

A parità di obiettivi gli insegnanti sono chiamati a impostare il lavoro in modo nuovo e meno abitudinario, ma proficuo per tutti
26 Novembre 2019

Il fatto che nostre scuole siano sempre più multietniche comporta una pluralità di problematiche, ma anche – in positivo – di sfide da cogliere. Come quella dell’inclusione e dell’educazione al dialogo interculturale: esigenza, quest’ultima, che riguarda la scuola, ma prima ancora la società nel suo complesso, come possiamo vedere ogni giorno dalla cronaca (e dalla cronaca politica). L’anno scorso è arrivata, in una terza liceo in cui insegnavo Italiano, una ragazza ghanese. Conosceva solo poche parole di italiano, ma non per questo puoi chiedere a una giovane di sedici anni di frequentare la prima elementare: la prassi, condivisibile per più di una ragione, è quella di collocare lo studente in arrivo da un Paese straniero (nel caso in questione si trattava di un ricongiungimento familiare, con i genitori già da diversi anni in Italia per motivi di lavoro) in una classe compatibile con la sua fascia d’età. Noi docenti abbiamo cercato in tutti i modi di favorire la sua integrazione, sia attraverso una programmazione differenziata adatta al suo livello di conoscenza della lingua sia coinvolgendo anche i compagni di classe.

Per esempio, all’inizio di ogni lezione proiettavo alcuni brevi filmati di un corso di lingua italiana per stranieri realizzato negli anni ’80: motivo di ilarità per gli studenti italiani, un po’ per le situazioni stereotipate che facevano da sfondo (dalla conversazione tra sconosciuti in uno scompartimento ferroviario a una telefonata tra due amiche per organizzare una festa di compleanno), un po’ per l’obsolescenza di certo abbigliamento o di certe acconciature decisamente démodé (anni ’80, appunto). La classe, così, partecipava al processo di apprendimento della nuova compagna: la quale poi eseguiva degli esercizi linguistici e grammaticali a partire da quanto visto, che poi le venivano corretti, a turno, da un compagno. In questo e in altri casi, però, la lingua è solo uno dei problemi. Forse ancora più importante è quello che potremmo chiamare della “traduzione culturale”: far comprendere certe tradizioni, idee, credenze religiose, meccanismi di pensiero da secoli depositati nell’humus culturale di una nazione, al punto da andare a costituire la stessa sua identità.

Certamente il lavoro dell’insegnante in questo campo è piuttosto complesso e coinvolge la sua capacità di scelta e di progettazione didattica. Ciò vale sia per chi insegna italiano all’estero, dunque a studenti tutti stranieri, sia a chi lo fa in Italia, in classi multietniche. Come docente – scrive Tiberio Snaidero nel volume Insegnare l’Italia di oggi. Guida a una Didattica dell’InterCultura italiana (Marcovalerio Edizioni, pagine 238, euro 20,00) – «posso decidere di impostare il curricolo su contenuti aggiornati, che permettano ai miei studenti di avere un’idea realistica della società italiana contemporanea, delle sue dinamiche e della sua storia recente. O posso, invece, limitarmi a propagare i triti luoghi comuni sull’Italia e sugli italiani, diffondere l’immagine turistica del bel Paese veicolata da molti manuali, alludere alla grandezza di Dante e Leonardo». In che modo posso evitare quest’ultimo rischio e perseguire, invece, il primo obiettivo?

Per esempio, al di là del programma di storia letteraria, in classi multietniche si può scegliere di proporre ai ragazzi, per quanto riguarda l’analisi e la produzione dei testi argomentativi (prevista dalle indicazioni ministeriali, soprattutto in vista dell’esame di maturità), articoli giornalistici o brani saggistici che trattino temi come le migrazioni, la xenofobia, il razzismo, le identità culturali. Ma anche nell’approccio didattico alla letteratura (pur nel quadro storico-letterario previsto dalle disposizioni vigenti) si può opportunamente pensare di ricorrere alle metodologie teorizzate dai cultural studies (o “studi culturali”), in virtù delle quali la letteratura costituisce, in una prospettiva prettamente comparatistica, un campo di indagine su un tema o un fenomeno (storico, sociale, culturale ecc.) che può essere integrato con il ricorso ad altri àmbiti: il cinema, la musica, il teatro, la canzone, la televisione, il fumetto, l’architettura, le arti figurative, il pensiero filosofico e via discorrendo; ponendo così in dialogo, tra l’altro, cultura “alta” e ”cultura bassa”. E non si pensi che una didattica di questo tipo, utilissima per gli alunni stranieri, scontenterebbe gli studenti italiani.

Anzi, in una scuola in cui si parla sempre di multidisciplinarità, essa sarebbe un valido contributo in tale direzione.

Roberto Carnero

Avvenire, 26 novembre 2019