La riapertura delle scuole non è più rinviabile. «A un anno dall’inizio di questa pandemia, oltre a contare il numero dei morti, iniziamo anche a contare gli innumerevoli danni che la sospensione della didattica in presenza e la mancata socializzazione sta avendo su bambini e ragazzi».
Lo scrivono nero su bianco oltre cento professionisti della sanità del Veneto. Tra loro i pediatri ospedalieri e di libera scelta e gli psicologi sono in prima linea, ma non mancano anestesisti, chirurghi, osteopati e infermieri. Dalla stesura del documento, che descrive i danni psicofisici concretamente osservati sui più piccoli, in una manciata di giorni si è passati alla raccolta di firme, che grazie alla condivisione su blog e profili social procede spedita.
«Il nostro appello scaturisce dall’osservazione diretta e quotidiana, nelle scuole e nei nostri studi, di ciò che le generazioni più giovani stanno subendo», spiega Elena Mozzo, pediatra, impegnata in progetti di educazione sessuale nelle scuole medie della provincia di Padova. «I sintomi che più di tutti ci preoccupano sono l’aumento dei disturbi ossessivo-compulsivi, le regressioni nel linguaggio, ma anche la manifestazione precoce della pubertà, conseguenza del disagio psicologico. Chi di noi collabora con le scuole incontra ragazzi sempre più demotivati davanti allo schermo con casi crescenti di attacchi di panico: la conseguenza è l’aumento massiccio della dispersione scolastica».
La premessa da cui partono medici e psicologi è la definizione stessa di salute data dall’Organizzazione mondiale della sanità: uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattie o infermità. «Ebbene, proprio su questo stato di benessere fisico, mentale e sociale di bambini e ragazzi – precisa Elena Mozzo – ha pesato molto l’assenza di opportunità di socialità e di stimolo. Non siamo qui a chiedere la riapertura delle scuole perché i genitori-lavoratori possano 'parcheggiare' i figli da qualche parte, ma perché rischiamo davvero di creare danni a lungo termine in una generazione che sta perdendo occasioni preziose proprio negli anni più importanti della formazione».
L’utilizzo intensivo dei social media ha aumentato i rischi correlati e in particolare il consumo di pedopornografia. Nei soli mesi di marzo e aprile 2020 le denunce sono aumentate del 51% (dati Polizia postale) e dei 15mila giovani tra 11 e 24 anni, intervistati in una ricerca promossa da Durex, Skuola.net e Università di Firenze a ottobre, 6 su dieci hanno dichiarato di usare abitualmente materiale pornografico.
Sul versante fisico, è una ricerca del Bambin Gesù pubblicata sull’Italian journal of Pediatrics a evidenziare un incremento di oltre il 50% dei casi di pubertà precoce. Tra le ipotesi una combinazione di fattori coincidenti durante il lockdown: modifiche delle abitudini alimentari e uso prolungato di pc e tablet.
«Come professionisti dell’area medica e psicologica – conclude il documento redatto nei giorni scorsi e le cui sottoscrizioni sono in rapido aumento – non possiamo più tacere. Non possiamo per ragioni etiche, non possiamo perché come professionisti abbiamo il dovere di tutelare le fasce fragili della popolazione, che comprendono bambini e ragazzi, il nostro futuro. Vogliamo essere una comunità che aiuta e sostiene bambini e adolescenti a riappropriarsi di una sana vita affettiva e relazionale come base essenziale per la costruzione del proprio benessere psico-fisico».
Luca Bortoli
Avvenire, 25 marzo 2021