UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Delpini e i classici per ridare senso e utilità alla scuola

“Liceo classico. Un futuro per tutti”: venti interviste ad ex alunni eccellenti
22 Giugno 2022

Un triennio comune per tutte le scuole superiori, con lo studio di materie come letteratura greca e latina (non la lingua), ma anche di quella giudaico-cristiana oltre che ovviamente la letteratura italiana; e poi musica (senza pratica strumentale), storia dell’arte, filosofia, storia della matematica, della medicina e del diritto; infine, assieme all’insegnamento della religione cattolica, spazio anche al dialogo interreligioso.

Così Mario Delpini, oggi arcivescovo di Milano, quando era docente al ginnasio immaginava una riforma della scuola italiana. Solo nel biennio successivo prevedeva una differenziazione di indirizzi e l’ingresso in campo degli aspetti tecnici dello studio, dalla lingua latina e greca alla matematica e alla fisica fino alle discipline di calcolo e di organizzazione del lavoro. Il tutto maggiormente finalizzato agli sbocchi universitari o professionali. Delpini rievoca il senso della sua proposta in un libretto appena uscito, “Liceo classico. Un futuro per tutti” (Carocci, pagine 112, euro 12), curato da Liana Lomiento e Antonietta Porro e che raccoglie venti interviste a ex alunni eccellenti, fra cui gli scrittori Nadia Fusini, Giuseppe Lupo e Paola Mastrocola, gli scienziati Guido Tonelli e Giovanni Galavotti, i filosofi Ermanno Bencivenga e Luciano Floridi, l’architetto Stefano Boeri e il pneumologo Luca Richeldi.

Il volume intende non tanto celebrare il valore del greco e del latino «sulla base di una presunta superiorità di alcune civiltà sulle altre», come dicono le curatrici nell’introduzione, ma ritiene «innegabile che la nostra cultura ha fatto e fa i conti con modelli e principi che al mondo greco e latino si richiamano». Di qui la necessità di non penalizzare gli studi classici nella scuola italiana e tantomeno di eliminare il liceo classico, come alcuni hanno proposto inneggiando alla tecnoscienza che lo renderebbe inutile, ma semmai di innovarlo rafforzando ad esempio lo studio dell’inglese e della matematica.

Si comprende allora il senso dell’idea di Delpini, che vuole consentire a tutti i giovani una formazione umanistica di base che li aiuti a pensare con la propria testa resistendo alle seduzioni del mercato che vuole ridurre tutti a consumatori: «Da questa tradizione culturale, attraverso tribolazioni e molteplici contributi, è stata configurata la visione della persona umana che ereditiamo, la responsabilità per la democrazia e la convivenza civile dei popoli, la relatività delle istituzioni e l’importanza di una visione europea e cosmopolita per la sopravvivenza dell’umanità».

Anche il fisico Guido Tonelli invita a vincere «il pregiudizio diffuso che la cultura classica non possa contribuire, per sé, allo sviluppo di società ormai dominate dalla scienza e dalla tecnologia». Anzi, sottolinea come una buona formazione classica sia indispensabile oggi più di cinquanta anni fa: «Di cultura umanistica c’è bisogno per far progredire la società, per definirne gli scopi e per dare un senso e umanizzare lo stesso progresso scientifico. L’umanità è nata con il simbolico e con la bellezza.

Di simbolico, di bellezza, di senso c’è bisogno oggi più che mai: non solo per vivere bene in comunità sempre più complesse, ma anche per orientare e gestire al meglio l’avanzamento stesso delle conoscenze». Fra i meriti del liceo classico Richeldi vede la creazione di una forma mentis orientata verso il ragionamento logico, Boeri riconosce «elasticità logica, coltivazione del dubbio, ricerca delle radici del senso delle cose, indagine continua sul mondo», mentre Floridi evidenzia la centralità dello studio della filosofia invocando però una seria riforma perché assieme a Edipo occorre leggere e saper tradurre Shakespeare. Più inglese e matematica dunque, ma anche - come rilevano altri - più geografia e più educazione fisica e più spazio allo studio della vita quotidiana degli antichi, dalle leggi al cibo all’abitare.

Il libro non ha un intento polemico o puramente apologetico ma, come detto, vuole difendere l’importanza della cultura classica e sostenere la necessità che continui a essere patrimonio di tutti e non solo di un’élite. Lupo rammenta la bellezza della lettura dell’Anabasi di Senofonte quando era studente e ricorda che «l’Occidente nel quale siamo immersi e a cui apparteniamo nasce da quel mondo». E Fusini conclude: «La profondità del passato dà spessore al presente. Altrimenti viviamo in una realtà tutta proiettata sulla piattezza superficiale, senza storia».

Roberto Righetto

Avvenire, 21 giugno 2022