UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Dalle aule del Master ai licei, la rete dei giovani (oltre i social)

L’idea dei ragazzi che studiano sviluppo e cooperazione: usare Instagram per creare una 'catena del bene'
6 Aprile 2022

Prepararsi alla guerra. Che vuol dire prepararsi a raccogliere i pezzi dell’umanità distrutta, dalla guerra: capire di cos c’è bisogno, con chi raccordarsi, come intervenire su un territorio colpito, che relazioni stabilire coi profughi, come metterli in salvo. Queste cose Gaia e gli altri, fino a un mese fa, le studiavano sui libri, nei padiglioni ordinati e tranquilli dell’Università Cattolica di Milano. Dodici ragazzi poco più che ventenni, la passione in comune per volontariato e terzo settore, nel cuore ancora le ferite di due anni di Covid: tutti fermi, chiusi, a sentir parlare della propria 'generazione ferita' coi copia e incolla dei libri di psicologia. I millennials. Finché – insieme al Master in relazioni d’aiuto in contesti di sviluppo e cooperazione organizzato dall’ateneo – è iniziata anche la guerra vera, a un passo da casa. E non si poteva star più fermi.

«L’idea di metterli in gioco, trasformando in azione il percorso che avrebbero dovuto affrontare, è nata in tutti noi immediatamente» spiega la coordinatrice del master, la professoressa Cristina Castelli. In passato l’università si era attivata anche sulle emergenze in Sri Lanka e ad Haiti, complice la collaborazione con l’associazione Francesco Realmonte: nel percorso del master, che dura un anno, sono previsti stage e laboratori, questi contesti offrivano la palestra adatta per mettere alla prova le competenze dei ragazzi. Ma stavolta è stato tutto diverso, «stavolta i protagonisti siamo stati noi» spiega Gaia, di ritorno dal suo viaggio a Lublino (la città polacca più vicina all’Ucraina) e poi ancora più su, a Dorohusk, lungo il confine, dove si trova uno dei tanti hub di prima accoglienza per chi scappa dall’orrore.

Prima lei, poi Paolo, poi un altro e un’altra ancora: ogni settimana, a turno, uno dei ragazzi parte su un furgoncino carico di medicine e generi alimentari alla volta della casa di Suor Monika, che insieme a due sorelle dehoniane è il braccio e l’anima della Caritas di Lublino. Si parte carichi – di cose – e si torna carichi – di vite umane –, come migliaia di furgoncini hanno fatto dall’inizio dell’emergenza e stanno continuando a fare in quella che è la carovana di solidarietà più commovente che il cuore dell’Europa abbia visto sfilare dai tempi della Seconda guerra mondiale. Quel che è tutto speciale, di questa piccola catena del bene, è che i ragazzi l’hanno voluta, i ragazzi la rendono possibile, i ragazzi realizzano i progetti di accoglienza per chi arriva in Italia.

«Abbiamo iniziato da un piano editoriale – spiega Marta, 23 anni, che insieme a Gaia gestisce anche la comunicazione per la Realmonte –: volevamo arrivare ai giovani e ai giovanissimi, lo strumento da utilizzare erano chiaramente i social, in particolare Instagram». L’idea delle ragazze è subito quella di usare le 'storie', la modalità più popolare legata a questo social network, per attirare l’attenzione dei coetanei. «E così è stato: nel giro di qualche giorno abbiamo cominciato a ricevere le manifestazioni d’interesse di diversi liceali».

Gli studenti universitari, allora, hanno levato le tende dall’ateneo e le hanno piazzate nelle aule dei licei, per illustrare il loro progetto. Prima il Virgilio, poi il Parini: «Pensavamo di incontrare un clima tiepido, fatta eccezione per la buona volontà di alcuni – racconta Gaia – . In fondo a un ragazzo di 15 anni cosa può interessare della guerra? E invece no, nelle classi trovavamo entusiasmo, voglia di partecipare». In base alle richieste della Caritas polacca si è stilata una lista di beni da raccogliere: il passaparola sui social, a sua volta innescato dai liceali, ne ha entusiasmati altri.

«Quando siamo passati la prima volta a raccogliere il carico di medicinali preparati sono rimasta senza fiato: non bastavano nemmeno gli spazi che solitamente mette a disposizione l’associazione». Così pacchi e pacchetti sono stati impilati anche nelle aule vuote dell’Università dove si svolge il master. Poi è stato il momento di mettere in ordine, di dividere le cose raccolte negli scatoloni, di stabilire le priorità delle spedizioni. «Anche qui i liceali si sono rimboccati le maniche: a turno si sono presentati in sede, sempre sorridenti, col desiderio di aiutare ancora di più». Un impegno tradotto, di nuovo, in 'storie' postate su Instagram, in passaparola, in altre scuole pronte a impegnarsi. Gli 'angeli' della rete che non è tutto male, non è tutto challenge e fake news.

Intanto il furgoncino va su e giù per l’Europa. Paolo, che a Milano per il master è arrivato da Roma, è appena rientrato dal suo viaggio con due famiglie ucraine, una mamma con due bimbi e una nonna col nipote grande: «Un’esperienza incredibile». Si è occupato lui, tramite altre Ong che conosceva (a 23 anni è già stato in un campo profughi in Libano e sulla rotta balcanica), di organizzarne l’accoglienza, incontrando di persona le famiglie ospitanti e valutando i contesti di inserimento in base all’età dei minori. Fotografo, videomaker, racconta che «è stata la cosa più naturale del mondo per me appassionarmi alla cooperazione, che significa capire un territorio e che basi gettare per migliorarlo, visto che sono cresciuto in periferia, a un passo da Rebibbia». Sogna di tornare in Libano, dopo l’Ucraina e il master, per sistemare dei pannelli fotovoltaici in quel campo profughi, e portarci l’elettricità.

Gaia invece – che oltre al progetto sull’Ucraina è impegnata coi profughi del Mali, fa la facilitatrice di una ragazza accolta in una famiglia italiana – di ritorno dal suo viaggio ha portato con sé una donna e la sua bimba di due anni, scampate all’esplosione di un ospedale vicino a Kiev: «In venti ore di viaggio verso l’Italia mi sono inventata tutti i giochi possibili con la piccola». Che adesso, abbracciata al suo papà che viveva già in Italia, chiede di 'Iaia' giorno e notte. «Se ho reso il mondo un posto migliore? In realtà per ora mi fermo a me stessa. E sì, da tutto questo esco migliore».

Viviana Daloiso

Avvenire, 6 aprile 2022