Poche scadenze segnano la nostra vita come l’inizio dell’anno scolastico. L’abitudine alla ripresa delle attività scolastiche può facilmente farci perdere il significato del tornare (o dell’andare) a scuola. Il discorso vale per tutti i soggetti della comunità scolastica: per gli studenti, per gli insegnanti e per i genitori. Tutti vivono il ritorno a scuola come un’ovvietà, dimenticando i motivi profondi che generano questo grande movimento collettivo.
È allora il caso di fermarsi un attimo e porsi la domanda fondamentale: perché si va a scuola? Per gli alunni la scuola può essere occasione di socializzazione, di incontro, di crescita, di apprendimento. Difficilmente però essi vedono consapevolmente nella scuola un luogo di educazione: la domanda di educazione appartiene ai loro genitori, ma alla fine del percorso, guardando indietro, anche gli studenti ammetteranno di aver ricevuto dalla scuola più della semplice somma delle nozioni apprese. Non si può fare un unico discorso dai 3 ai 19 anni, ma sembra importante invitare ognuno a chiedersi se ha mai posto alla scuola una domanda di educazione. Solo così ci si può sentire protagonisti del percorso scolastico, altrimenti esso rimane un insieme di apprendimenti di cui non sempre si coglie il valore.
Per gli insegnanti la scuola è ovviamente luogo di lavoro, ma occorre capire quale rapporto ognuno ha stabilito con il suo lavoro: fonte di reddito o realizzazione di un progetto personale? Anche gli insegnanti faranno bene a domandarsi perché hanno scelto – se lo hanno scelto – questo mestiere. Se ci si dichiara cultori di una materia, si finirà facilmente per rimanere delusi dalle risposte inadeguate dei propri alunni. Se ci si sente educatori, si sarà motivati a rinnovarsi ogni giorno per intercettare le sempre nuove – anche se inespresse – domande dei propri allievi, trovando nella relazione con essi la risposta alla domanda iniziale.
Per i genitori la scuola è spesso un porto sicuro (almeno si spera) al quale affidare i propri figli per buona parte della giornata, ma questo atteggiamento non è certamente il più costruttivo per sostenere il lavoro scolastico degli alunni e dei loro insegnanti. Se la logica che governa il rapporto tra scuola e famiglie è soprattutto quella della delega, sarà sempre più difficile per i ragazzi capire perché si deve andare a scuola (per scaricare i genitori da alcune responsabilità?) e per gli insegnanti capire (da soli!) come intervenire su ognuno di quei figli.
Insomma, la campanella suona per ricordare a tutti l’inizio di un percorso di crescita da fare necessariamente insieme: andare a scuola significa essere convinti che non si può fare tutto da soli, che si deve apprendere da chi ha maggiore esperienza e che l’educazione è essenzialmente relazione fiduciosa e costante. Buon anno!
Sergio Cicatelli
Lazio Sette, 9 settembre 2018