UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Cosʼè la normalità? Il mio banco in classe»

I pensieri dei piccoli dopo un anno di “didattica integrata”. La maestra alla lavagna diventa oggetto di nostalgia
27 Aprile 2021

Una volta, in piena pandemia, con l’Italia tutta chiusa e gli arcobaleni ai balconi, ci siamo chiesti con gli insegnanti del gruppo di ricerca Amica Sofia, più o meno fra maggio e giugno, insieme ai bambini di alcune zone d’Italia, da Nord a Sud: «Ma come fanno i bambini a sopportare gli adulti?». Ed effettivamente non è stato facile, guardando, in questa settimana, come tutti si riabbracciano alla riapertura delle classi di questo quarto mese del 2021, nonostante le zone rosse, nonostante i timori ancora presenti, nonostante le mille raccomandazioni dei genitori sull’igiene delle mani e sulle mascherine (che però a fine giornata si ritrovano colorate e disegnate). Alcuni dicono di aver quasi dimenticato i volti dei loro compagni, «perché attraverso il computer non si vedono davvero i tratti del viso». E così, fra un’impressione e l’altra, possiamo finalmente dire che almeno due scuole su tre hanno riaperto. È una parziale buona notizia; finalmente si ha l’impressione che la scuola conti qualcosa e che tutto il resto debba orientarsi e adeguarsi intorno alla sua riapertura in sicurezza. Come hanno precisato la Società nazionale di pediatria e l’Istituto nazionale di statistica inglese, nel loro ultimo report, il rischio non è pari a zero, ma è minimo e va corso, a fronte di altre emergenze.

Ideario: insieme agli altri. Costruendo una sorta di 'ideario', qualcosa di più articolato di un abbecedario, l ’idea da mettere al centro, come faro, come priorità, come capolista, mi pare, sempre più, incardinata intorno alla parola 'insieme', perché questo è il tempo dello stare insieme, il tempo di salvarsi insieme, il tempo di 'perdere tempo' insieme. E le distanze? E la parola ormai così consueta 'distanziamento'? Una regola giusta, come tante, ma nel frattempo riaprire le classi (non mi piace dire 'riaprire le scuole', perché in fondo erano già aperte e fin troppo si è detto su questo tema) offre l’occasione di stare insieme.

Quale normalità per i piccoli? Riaprire le classi permette di assaporare la normalità e intanto mi viene in mente Giulio, di una scuola primaria romana, che diceva ad aprile: «La normalità è casa mia, il pranzo, la cena, mamma, papà, il calcio», e mentre provava a estromettere da questo raggruppamento di cose normali (da questo 'insieme') la scuola, anche perché onestamente la distanza, lo scorso aprile, doveva essere un percorso fra parentesi (anche piacevole per i bambini), è tornato a dire, qualche mese dopo: La normalità è il mio banco, il mio compagno, la maestra alla lavagna».

È stato bello, in un anno intero, ascoltare le voci dei più piccoli, perché loro, a differenza dei fratelli e delle sorelle adolescenti, avevano voglia di parlare, di farsi sentire, di dire che non siamo davvero come i pesci, perché i pesci nel mare gioiscono, ma noi dentro gli ambienti chiusi spesso ci annoiamo, avvertiamo l’aria asfittica (erano queste le parole precise usate da Gabriella). Gabriele, invece, un anno fa, ha detto alla sua maestra che durante il periodo di quarantena, come in tutte le cose, ci sono aspetti positivi e altri negativi: ha avuto sì giornate di riposo, di grandi dormite, ma alla fine ammette che non si può andare neanche in gelateria. E conclude: «Che noia!». E Boris: «Non esco mai, sto tutti i giorni a casa senza fare niente, non vedo mai i miei amici, ma cerco di rispettare la regola più importante: lavarmi spesso le mani. Quando le maestre assegnano i compiti cerco di farli, ma non mi piace sentire le loro voci per pc. L’unica cosa positiva è che, abitando in campagna, ho molto spazio libero, quindi posso stare tanto all’aperto, ma senza nessuno. Non sto insieme agli altri».

Michelangelo, di una 5ª C di Cerignola, in Capitanata, innamorato delle parole rimate, ha messo in versi la sua descrizione del periodo del cosiddetto lockdown: «In questi giorni tutto è in isolamento/ Vorrei urlare a squarciagola quello che provo al vento/ Vedo arcobaleni a milioni E cartelli appesi ai balconi...». Michelangelo, come molti altri bambini, ha messo spontaneamente in risalto la nostalgia di stare 'insieme'. Insieme è, in fondo, un’idea complicata per 'i grandi', anche molto scomoda nelle relazioni, a volte, eppure tanto naturale per i bambini. Basti pensare a quel libro scritto dal maestro e pedagogista Mario Lodi, dal titolo 'Insieme. Giornale di una quinta elementare', cioè un lavoro svolto insieme ai suoi alunni, che racchiude, raccontando la creazione di un giornalino scolastico, la vita quotidiana in una classe di Vho di Piadena alle porte dei rivoluzionari anni ’70.

Il 'modello Lodi' è un esercizio frequente di creatività di gruppo, una cooperazione di molti, una ricerca fatta tanto dai maestri che dagli alunni, una didattica che non fornisce subito risposte, ma che permette di sostare, con pazienza, nelle domande, anche se poi la risposta arriva, perché i bambini non amano perdersi in una domanda muta. Questo metodo si può denominare anche 'didattica del disvelamento' – quella che per molti è stata la via da seguire nella distanza – che, esperienza dopo esperienza, pezzetto dopo pezzetto, attraverso l’aiuto della capacità spontanea di stupirsi, fa cogliere i tratti salienti di un argomento, di una lettura, di un’addizione. E questo lo sanno bene i tanti insegnanti che hanno provato a reinventare la loro didattica nei tempi sospesi, lasciandosi guidare anche dai bambini.

Filosofia, perché no? Ora però sta tornando quella normalità che sta dietro l’idea 'insieme': con le scuole 'quasi aperte' molti insegnanti si stanno trovando davanti le difficoltà di apprendimento causate da mesi e mesi di distanza, da mesi e mesi di un semi-stop. Occorre allora usare tutti i ferri del mestiere per allenare il pensiero, proprio in questo secondo anno 'speciale', dove la filosofia, o ciò che chiamiamo così per intenderci, potrebbe essere la chiave per avvicinarsi ai bambini, ricordando, per primo a noi stessi, che la filosofia (come metodo e non come materia) non è un’amica generosa: non serve affatto a raggiungere certezze che aiuteranno poi a spazzare ogni dubbio, ma aiuta (in maniera tragicomica) ad abituarsi a stare sulla montagna senza mai arrivare alla vetta, senza sentirsi sazi, per giunta innamorandosi di quel 'mai'.

Dorella Cianci

Avvenire, 25 aprile 2021