UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Con la pandemia crescono i Neet

Una ricerca condotta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Università di Salamanca
30 Luglio 2021

Neet, un acronimo per indicare il nutrito gruppo di giovani che si trova in una zona d’ombra. Non hanno un lavoro, non lo cercano e neppure frequentano una scuola o partecipano ad attività formative per migliorare le proprie competenze. Sono appunto i Neet (Not in Education, Employment or Training), ragazzi fra i 15 e i 29 anni che non hanno prospettive e la cui percentuale, se già era alta prima della pandemia, con le conseguenze portate dal Covid-19 è cresciuta ancora. E a crescere è anche la preoccupazione da parte delle istituzioni, tanto che ai Neet ha fatto riferimento di recente anche il premier Mario Draghi.

L’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con quella di Salamanca ha posto sotto osservazione il problema attraverso una ricerca. Per l’ateneo piacentino hanno partecipato Chiara Mussida, professore associato di Politica Economica, e Maurizio Luigi Baussola, professore ordinario di Politica Economica, entrambi della facoltà di Economia e Giurisprudenza.

Il Neet è un indicatore complementare riguardante il mercato del lavoro introdotto per la prima volta nel 1999 nel Regno Unito e successivamente adottato anche dall’Unione Europea. Il suo obiettivo è quello di intercettare i giovani al di fuori del sistema educativo e occupazionale, che rischiano di configurarsi come delle presenze fantasma, destinate ad andare perse a livello di rilevazione statistica. «Sono persone dai 15 ai 29 anni - spiega Mussida - che non studiano né lavorano, tantomeno fanno attività formative. Di recente Mario Draghi ha invitato a riflettere su di loro, dal momento che in Italia sono quantificati in 2 milioni».

I dati che emergono dalla ricerca della Cattolica perimetrano la questione. «A livello nazionale - afferma Mussida - il tasso di Neet è cresciuto arrivando al 23,1%. Significa che abbiamo a che fare con un quinto di giovani che non sono impegnati in alcuna attività». Una percentuale ottenuta dalla media fra la popolazione femminile e quella maschile. «Le donne sono il 24,6% e gli uomini il 21,6%. È un fenomeno che preoccupa per entrambi i generi, ma che si presenta un po’ più grave per le donne».

Lo studio non si limita a portare delle percentuali, ma le confronta con altre realtà europee come Spagna, Grecia e Portogallo. In Italia, si evidenzia, la differenza di genere è più avvertita. Mussida prova a riflettere sulle possibili cause: «Una di queste può essere il fatto che le donne nel nostro Paese hanno maggiori problemi di disoccupazione, ma è da considerare anche la carenza di politiche volte a garantire la conciliazione del lavoro con i carichi familiari delle giovani madri. Inoltre si assiste a dei limiti strutturali: gli asili nido sono poco competitivi. Una donna con istruzione non elevata spesso decide di restare a casa piuttosto di pagare una retta alta: rinuncia perché lo stipendio è basso e la retta troppo alta da pagare».

In un contesto già complicato si è aggiunto il Covid-19. La percentuale di Neet in Italia era elevata già prima della pandemia, aveva toccato il 20% dopo la crisi economica. Ma il Covd-19 ha esasperato la situazione. «Con la pandemia - continua Mussida - contiamo un milione di poveri in più e non ha certo aiutato la combinazione con la Dad, che per alcuni potrebbe portare a una povertà educativa». Due tipi di povertà, materiale ed educativa, che fanno affermare alla docente che «le prospettive non sono rosee».

I Neet, per i quali si pone anche un problema di inclusione sociale, sono spesso il frutto del cosiddetto “effetto scoraggiamento”: una volta terminati gli studi si comincia a cercare lavoro, senza però trovarlo nonostante le azioni messe in atto, a quel punto subentra un senso di scoraggiamento ritenendo di non possedere le caratteristiche richieste dal mercato. La conseguenza è che il lavoro neppure lo si cerca più. «In un contesto di crisi - suggerisce Mussida - questo effetto è maggiore».

Cosa fare allora per arrestare la crescita dei Neet? «Nel Pnrr sono state inserite delle missioni per aiutare i giovani - prosegue la docente - ad esempio quella di “Istruzione e ricerca” e quella di “Coesione e inclusione”. Occorrono politiche attive per agevolare i Neet nelle attività imprenditoriali, penso ad esempio alle start up, ma anche a facilitazioni per l’ingresso nel mercato del lavoro, rendendo i centri per l’impiego più efficaci».

La formazione merita un capitolo a parte. «Uno dei problemi riscontrato insieme ai pedagogisti è che la qualità delle competenze date ai giovani non è sufficiente, non collima con quanto richiesto dal mercato del lavoro. Occorre dunque migliorare il sistema di istruzione». Lo stesso Draghi, a proposito, nel suo discorso programmatico aveva parlato di fondi, sempre legati al Pnrr, da destinare al potenziamento degli istituti tecnici superiori.

(da Cattolicanews.it, 29 luglio 2021)