«Io la più buona d’Italia? Sono una ragazza normale. Mi sono comportata come avrebbe fatto qualunque ragazza della mia età». Cloe Russo ha 14 anni, vive a Carpi con i genitori e il fratellino di tre anni. Ha un viso dolce e un sorriso contagioso. È stata premiata qualche settimana fa come l’alunna “più buona di Italia”. «Non so cos’ho fatto per meritarmi questo riconoscimento», chiosa timida.
Invece per i professori della scuola secondaria di primo grado Alberto Pio, che ha frequentato fino all’anno scorso per poi iscriversi all’istituto Da Vinci, Cloe ha avuto un comportamento così generoso e talmente altruista con i compagni da meritare la candidatura al premio nazionale istituito nel 1974 in memoria di Ignazio Salvo, alunno del collegio Nazareno di Roma morto a 19 anni a causa di una grave distrofia muscolare. Nei tre anni di scuola media Cloe è stata vicina ai compagni di classe «con spontaneità e spirito di dedizione» spiega la dirigente scolastica Rossana Rinaldini. In particolare ha aiutato alcuni alunni stranieri, sia della sua classe che di altre sezioni, non solo sotto l’aspetto scolastico, per i compiti e la lingua, ma anche sotto quello umano.
«Cloe ha sempre incoraggiato la loro inclusione nella classe – prosegue la preside – facendoli sentire parte attiva della vita di gruppo». «I professori mi hanno detto che grazie al mio aiuto i compagni hanno migliorato il rendimento scolastico; i miei amici mi hanno detto che li ho fatti sentire parte di un gruppo». Un “mi hanno detto” che colpisce, quasi non fosse stata Cloe l’autrice di questi comportamenti: «Dico così – sorride abbassando gli occhi – in quanto io neppure ci avevo fatto caso a queste cose. Per me è stato tutto straordinariamente naturale: per questo me le devono raccontare gli altri!». La giovane si è spesa con spontaneità a favore dei compagni, quelli che lei preferisce chiamare “amici”: «Durante una gita mi sono accorta che un mio coetaneo di un’altra sezione veniva escluso. Sono andata da lui, l’ho portato nel mio gruppo di amici». Così è avvenuto con quella che è poi diventata la sua migliore amica, una ragazza straniera: «Stava sempre da sola, non mi sembrava bello e andavo a parlarle durante l’intervallo. Mi sono messa nei suoi panni. Un giorno l’ho portata in mezzo alle mie amiche e ora è come mia sorella».
Senso dell’inclusione ma anche supporto nello studio: nel triennio Cloe ha aiutato vari alunni nel ripassare le lezioni e prepararsi alle verifiche. Tra questi in particolare un suo compagno di banco, straniero: «Chiedevo alle insegnanti il materiale per prepararmi e quando darebbe stato interrogato. Poi ci trovavamo in biblioteca, gli facevo fare le mappe concettuali. Il suo problema era soprattutto la matematica. E se la verifica non andava bene, gli chiedevo cosa non aveva capito e lo riguardavamo insieme per non sbagliare più». Cloe parla di “amici” e chiede di non specificare la nazionalità di questi suoi compagni, «perché non importa da che parte del mondo vengano, per me sono come tutti gli altri. Io ho semplicemente aiutato un amico».
Maria Silvia Cabri
Avvenire, 28 novembre 2018