S’intitola «Educare ancora» il discorso rivolto ieri dal vescovo di Reggio Emilia-Guastalla Massimo Camisasca alla città e alla diocesi nella Basilica di San Prospero, durante la Messa per la solennità del patrono. «L’educazione è un compito appassionante, una sfida impegnativa e decisiva a cui tutti siamo chiamati. Educare significa condividere e trasmettere ciò che riteniamo essenziale, ciò che dà forma e senso alla nostra vita. Non c’è carità più grande di questa», ha detto il presule. Eppure si parla spesso di 'crisi' educativa: «I giovani sembrano cambiati rispetto al passato e il mondo adulto si sente incapace di parlare alle nuove generazioni». Camisasca si è soffermato su famiglia, scuola e comunità ecclesiali come luoghi privilegiati per l’educazione delle giovani generazioni, affrontando la difficoltà di costruire qualcosa di permanente sul piano delle relazioni umane. «Sono certo del fatto che il motivo principale della nostra fatica educativa – ha affermato indirizzandosi in particolare ai genitori – sia la dimenticanza di Dio. O forse sarebbe meglio dire: il nostro tentativo di estrometterlo dall’esperienza e dal nostro orizzonte. Ma Dio è la sorgente che ci ridona ogni giorno i nostri figli, creature sempre nuove, meraviglie da custodire delicatamente, di cui lui solo conosce la vera grandezza nascosta».
All’avventura educativa servono uomini innamorati e capaci di far innamorare. «Per educare e per accettare la fatica di crescere – ha aggiunto il vescovo – occorrono passione per la vita e fiducia in un destino buono, che possa offrire un’ipotesi di significato anche davanti allo scandalo del male e del limite. Sì, perché l’esperienza dell’educare e dell’essere educati è innanzitutto esperienza del limite: del limite nostro, dei nostri progetti e delle nostre azioni; del limite che ci è dato dalla storia nella quale nasciamo, dal mondo materiale e simbolico che abitiamo; del limite che può diventare la presenza dell’altro, sempre irriducibile alle nostre pretese».
Per ogni persona, ha detto ancora il vescovo Camisasca, è di fondamentale importanza «sperimentare un’appartenenza positiva a una ricchezza e a un mondo che gli vengono donati. La storia e la tradizione di chi ci precede non sono una zavorra, ma una preziosa riserva per poterci spingere più lontano di quanto potremmo fare con le sole nostre forze».
Camisasca ha sottolineato infine come il motore segreto dell’educazione sia rappresentato dalla speranza. «Essa – ha commentato il vescovo – non è una semplice predisposizione all’ottimismo, ma nasce dal riconoscimento che la vita è più forte della morte, che non c’è deserto che non possa tornare a fiorire, che ogni sacrificio porta in sé la promessa di una nascita. Educare è insegnare a sperare. È necessario pertanto riscoprire la presenza Dio, che è la presenza più laica che esista. Egli è Padre e ci assicura che la nostra vita non è un inganno, ma ha un destino buono; che la morte non è la parola definitiva sull’esistenza, che il futuro è un bagliore aurorale, non ancora del tutto visto, ma che già ora rischiara l’orizzonte, anche l’oscurità enigmatica del momento presente. Ogni atto di educazione è dunque abituare gli occhi degli uomini alla luce, è una luce che si accende nel mondo».
Edoardo Tincani
Avvenire, 25 novembre 2018