La Maturità? «Non esiste più». E continuare a chiamare così l’Esame di Stato, «ormai svuotato di senso e di sostanza» serve soltanto a non cambiare le cose, quando invece si dovrebbe indirizzare la scuola verso «percorsi formativi davvero di qualità». Mentre gli studenti protestano per un esame che reputano non coerente con il percorso scolastico di questi ultimi anni, segnato da fatiche e sofferenze come nessun altro nella recente storia italiana, il professor Giuseppe Bertagna, pedagogista dell’Università di Bergamo e stretto collaboratore dell’ex-ministra dell’Istruzione, Letizia Moratti, si interroga (e interroga) sul reale e attuale significato di un “rito” di passaggio, sempre uguale a sé stesso, da ripensare sotto il profilo culturale e pedagogico. E invece il dibattito delle ultime settimane si è arenato sul ritorno degli scritti.
Alla Maturità 2022 tornano le prove scritte, ma “pesano” meno: è un giusto compromesso?
Sì, visto il contesto in cui ci troviamo dopo due anni come quelli passati. Ma il problema non è questo. Osservo un tratto di antropologia culturale. Sono 25 anni, da Berlinguer in poi, che la “maturità” non esiste più. Si chiama “Esame di Stato”. Solo un cambio di nome? Non credo. Piuttosto la registrazione di una tendenza che già allora era in atto da decenni. Anche a non volerlo, alla Wittgenstein, «i limiti del linguaggio significano i limiti del mio mondo». Eppure nonostante la maturità non sia più tale, i significati simbolici dell’appuntamento non cambiano. Ogni anno parliamo ancora di “maturità”. Come se un esame la potesse certificare. Solo che quando il simbolo si svuota di senso e di sostanza diventa idolatria, formalismo, aritmetica amministrativa e perde sempre più la sua caratura culturale e pedagogica. Inoltre, funge da alibi per continuare a non fare quegli interventi innovativi che rendono i percorsi formativi davvero di qualità.
Il ministro Bianchi ha esortato gli studenti - che sono scesi ancora in piazza - a «non avere paura di non farcela »: quelli dei ragazzi sono timori fondati?
Il registro del Ministro è affettivo. Non fa male. Rassicurare. Sopire. Ma anche se usiamo il registro statistico, la paura degli studenti non dovrebbe esserci. Il 99,6% dei candidati è promosso. Ogni anno aumentano le votazioni superiori a 70. A maggior ragione negli ultimi due. Crescono a vista d’occhio inoltre i 100 e i 100 e lode. Con la legge 1/2007 il ministro Fioroni volle premiare il merito scolastico postando una somma nel bilancio dello Stato per distribuire ad ogni studente con 100 e lode 1.000 euro. Non avendo più aumentato da allora la somma a bilancio, ma essendo cresciuto il numero degli studenti con la lode, nel 2010 si distribuirono 600 euro, nel 2019, 255, nel 2020, 150, nel 2021 ancora meno. Quest’anno le lodi saranno probabilmente ancora più numerose, tenendo conto che la seconda prova non sarà nazionale, ma di classe. Inoltre, non ci saranno le prove dell’Invalsi utili per un confronto sulla qualità reale delle competenze linguistiche, scientifiche e di lingua inglese maturate. Eppure le perdite negli apprendimenti e nelle relazioni interpersonali, in questi ultimi due anni, sono state cospicue.
Si può, comunque, parlare di ritorno alla “normalità” per quanto riguarda le scuole?
Il cammino, vedendo anche la congerie di disposizioni con cui le scuole devono fare i conti, è ancora lungo. Ma certo il ritorno alle attività didattiche in presenza è stato ed è molto importante. Purtroppo, tra Did e Dad fatte nel modo con cui sono state per lo più fatte (fare da lontano ciò che il professore e i compagni fanno in classe) ha pregiudicato due consapevolezze fondamentali. La prima è che i metodi e i contenuti delle relazioni in presenza non possono essere gli stessi di quelle che si possono e si devono accendere a distanza. La seconda è che oggi non possiamo più fingere di poter pensare all’istruzione del futuro, senza l’inserimento organico del digitale e di tutte le sue potenzialità, anche negli apprendimenti scolastici.
La morte dello stagista Lorenzo Parelli ha riportato d’attualità il dibattito sull’alternanza scuola-lavoro: come coniugare formazione e sicurezza?
Espresso il partecipato dolore per quanto accaduto, prescinderei dal caso singolo. In generale, infatti, la formazione, se davvero tale, è anche sicurezza. E lo è perché esistono un tutor aziendale ed uno scolastico che sono chiamati a cooperare con lo studente per organizzare i contesti di lavoro in maniera adatta ad esplicitare le conoscenze scientifiche (matematiche, fisiche, economiche, giuridiche), le competenze relazionali e tutti i dispositivi dichiarati o taciti che contengono o meno. Vuol dire scoprire che la vera cultura, quella del pensiero critico e riflessivo, non sta nell’erudizione scolastica, magari ripetuta solo a memoria, ma nel rileggere, riordinare e cambiare in meglio, con adeguate categorie interpretative e trasformative, i contesti della propria e altrui vita sociale, economica e culturale. Per questo non si può nel XXI secolo continuare a pensare che chi studia non deve fare esperienze di lavoro formativo e che chi lavora è condannato a non poter mai adoperare in modo fecondo lo studio.
Paolo Ferrario
Avvenire, 12 febbraio 2022