Tanti documenti internazionali parlano della scuola e dei servizi per i bambini da zero a sei anni all’interno di un’unica visione, che chiamano childhood education and care, educazione e cura dell’infanzia. Non hanno paura a mettere in relazione la questione educativa con la questione della cura. In Italia purtroppo ancora non è così. Ancora troppo frequentemente la questione della cura è pensata come una dimensione secondaria o meno nobile rispetto al tema dell’educazione e dell’istruzione. Forse perché la cura chiama in causa immediatamente la corporeità, le emozioni, gli affetti. Dimensioni che, purtroppo, un certo senso comune ritiene meno importanti delle idee, dei saperi, dei valori. È questa, però, una visione che sottende una concezione della persona umana come frammentata, composta da dimensioni isolabili e pensabili gerarchicamente. La recente normativa che istituisce la progettualità educativa 0-6 sta, con forza, riportando all’attenzione di educatori e insegnanti la questione della cura non come pratica routinaria o di accudimento, ma come sostanza dell’educazione. Aver cura è prendersi a cuore il bene dell’altro.
Lo sanno bene le insegnanti della scuola dell’infanzia e le educatrici del nido quando con cura preparano le attività, quando devono con cura ascoltare i bisogni e i desideri dei bambini, con cura aiutarli a gestire le emozioni e i conflitti, con cura nutrire la loro curiosità e il loro pensiero. Cioè con quella delicatezza e umiltà che chiede di stare vicino all’altro per sostenerlo ma senza invaderlo. Con quella attenzione che chiede di progettare azioni, spazi e tempi che promuovano l’apprendimento e la crescita, ma facendo in modo che sia il bambino stesso il protagonista del proprio crescere. Lo sanno bene anche i bambini, che sono capaci di riconoscere la cura come cifra fondamentale dell’azione educativa. Durante un’attività di ricerca educativa abbiamo provato a chiedere ai bambini di giocare ai maestri: uno di loro doveva vestire i panni della loro maestra e agire di conseguenza con i compagni, che sarebbero diventati i suoi allievi. Francesca, un’insegnante che ha condotto l’attività così annota: «I bambini maestri hanno immediatamente notato le esigenze dei più piccoli, verso i quali bisogna avere un occhio di riguardo particolare. I piccoli vanno continuamente accompagnati, seguiti, anche ripresi, ma bisogna avere pazienza con loro perché 'sono lo stesso bravi perché sono piccoli', ha affermato la piccola maestra Sofia». L’insegnante Marzia racconta di Alessia che, interpretando il ruolo della maestra, si accorge del bisogno della piccola Chiara che chiede le coccole e la prende in braccio e le regala 10 minuti di abbraccio. Sono tanti 10 minuti! Secondo i bambini, dunque, la maestra è una persona capace di cura, perché riconosce i bisogni e i desideri di ciascuno, 'facendo le differenze' nel senso non dei privilegi ma della giustizia, secondo la nota espressione di don Milani per cui «non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali».
La maestra è un perno, ma non per questo i bambini dipendono in tutto e per tutto da lei. Lo si nota dal fatto che questi piccoli sono stati capaci di organizzarsi in modo autonomo nel gioco del 'facciamo i maestri': hanno mimato una maestra punto di riferimento imprescindibile, ma facendolo da soli!
Dunque, che cos’è la cura? Lo spiega bene Luigina Mortari, autrice che offre una filosofia della cura particolarmente raffinata. C’è una cura necessaria per continuare a vivere; c’è una cura che 'ripara' l’essere, quando il corpo o l’anima si ammalano; e una cura necessaria per far fiorire l’umanità di ciascuno. In ogni rapporto educativo, in ogni scuola e, più in particolare nella scuola dell’infanzia, le tre dimensioni si intrecciano. Con i bambini 0-6 anni c’è bisogno di 'preoccuparsi' per loro e, gradualmente, con loro: preoccuparsi di procurare ciò che consente di conservare la vita, consapevoli della fragilità e della vulnerabilità dei piccoli. A scuola con i bambini si curano le ferite, quelle del corpo come quelle dell’anima; quelle che hanno a che fare con corpi fragili, bisognosi di tante cure e attenzioni 'riparatrici', ma anche con corpi 'animati', corpi che sono un tutt’uno con l’anima e che spesso somatizzano le sofferenze. Ma c’è la cura più propria della scuola che è squisitamente educativa: la cura che fa fiorire l’essere. Noi veniamo al mondo con una forma non pienamente data, con un’esistenza che quotidianamente è chiamata a realizzare se stessa. A scuola l’insegnante educatore cerca di aiutare il bambino a fiorire: come un bravo contadino predispone tutti i beni che lo possano nutrire per dare forma compiuta al suo essere, per far sì che prenda la sua forma unica e irripetibile, dentro la storia del genere umano.
Marco Ubbiali
Avvenire, 6 dicembre 2018