Conclusi gli orali di una classe, sono iniziati ieri quelle dell’altra assegnata alla nostra commissione. Il colloquio è la parte più 'personale' dell’esame, quella in cui, per circa un’ora di tempo, ciascun candidato è il vero e unico protagonista. È anche la sezione maggiormente rinnovata dalla riforma (ricordiamolo, entrata in vigore da quest’anno). Vietato fare domande, per esempio: chi conduce il colloquio (il presidente con i commissari d’esame, interni ed esterni) deve piuttosto stabilire dei collegamenti plausibili tra una disciplina e l’altra. Cosa non sempre facile. Come puoi raccordare un argomento di letteratura a uno di matematica? Eppure questo ha chiesto il legislatore...
La novità più eclatante (ma forse, in realtà, soltanto su un piano esteriore), quella dell’opzione per una di tre buste contenti altrettanti temi da cui far partire il colloquio, è stata presto metabolizzata dai ragazzi. La scelta è stata fatta quasi sempre con una certa nonchalance, magari dopo una breve esitazione iniziale, superata con un sorriso.
La parte più coinvolgente (in cui i ragazzi sembrano più coinvolti, e che dunque riesce a coinvolgere i commissari che ascoltano) è quella della presentazione dell’esperienza di alternanza scuola-lavoro svolta negli ultimi tre anni di scuola. Confesso di non essere un grande sostenitore di questa pratica, soprattutto nei licei, dove il tutto si traduce troppo spesso in due o tre settimane di lezioni saltate a vantaggio di attività poco qualificanti e poco in armonia con il corso di studi seguito. Ma negli istituti professionali, come quello dove in questi giorni opera la nostra commissione, essa è un momento fondamentale. Trattandosi di una scuola per operatori socio-sanitari, i ragazzi hanno svolto l’alternanza in centri per disabili, case di riposo per anziani, case di cura, scuole materne e asili nido. Molti di loro raccontano delle esitazioni e magari delle paure inziali (per esempio il timore di non essere all’altezza o una diffidenza istintiva nei confronti della 'diversità'), ma poi parlano della scoperta di risorse che non sapevano di possedere (come la capacità di far fronte a situazioni nuove o impreviste) o anche dell’empatia, il cui sviluppo è parte di ogni autentico processo di maturazione.
Ma l’orale è anche il momento in cui i ragazzi incontrano per l’ultima volta in una veste istituzionale i loro docenti. Adulti che li hanno accompagnati magari per cinque anni. Uomini e donne che hanno visto tutti i giorni per diverse ore alla settimana. La stretta di mano finale, quando il colloquio è finito e si è allentata la tensione dell’esame, è un saluto ma anche un’espressione di gratitudine. Quando finiscono la scuola, i ragazzi promettono che torneranno a far visita ai loro professori. E spesso mantengono la promessa, quasi non si capacitassero di esserne fuori: fuori anche dal 'peso' della vita scolastica, fatta di pagine da studiare, compiti da svolgere, verifiche da affrontare. Ma una volta rivarcata la soglia del loro vecchio istituto, capiscono che ormai non ne fanno più parte. Quindi è ora, è oggi, all’orale della maturità, che si gioca l’ultimo, vero momento 'scolastico'. E l’arrivederci ai 'prof' è, invece, un addio a una fase della vita alla quale un giorno guarderanno con inevitabile nostalgia.
Roberto Carnero
Avvenire, 2 luglio 2019