Nel percorso della formazione della persona, che si distende lungo l’intero arco della vita, all’Università si chiede di far acquisire ai giovani due elementi: conoscenze approfondite e competenze adeguate per l’inserimento nel mondo del lavoro. La complessità del mondo attuale rende però sempre più evidente che queste non bastano: nella «società della conoscenza», in continua evoluzione, i problemi si affrontano in squadra e con il concorso di varie discipline, sapendo far fronte all’incertezza e al nuovo con risorse quali la flessibilità, l’intelligenza emotiva, la capacità di costruire relazioni e di affrontare le fragilità. La risorsa strategica del domani non saranno le macchine; il perno di tutto diventa sempre di più l’uomo e la sua capacità di sviluppare e mettere a frutto le sue qualità interiori, creative ed etiche.
Tutto ciò rende necessario che l’Università si occupi dei propri studenti accompagnandone il percorso di sviluppo non solo in termini di apprendimento di contenuti e di competenze professionali, ma soprattutto in termini di crescita umana e personale. D’altronde, l’autentica cultura, ricordava papa Francesco a Bologna il 1 ottobre 2017, è quella che promuove «un sapere umano e umanizzante».
Quelli dell’Università sono anni in cui si danno radici al gusto della ricerca, alla capacità di confronto, all’acquisizione di criteri di giudizio e di sintesi. Si stringono amicizie e rapporti che durano ben oltre la laurea. Sono aspetti sui quali la comunità accademica e quella ecclesiale possono incontrarsi e arricchirsi a vicenda. Ne sono un esempio, fra le diverse realtà, i collegi e le residenze universitarie, specialmente là dove pensati come comunità educative all’insegna della condivisione, della partecipazione e della responsabilità.
Ernesto Diaco
Avvenire, 27 giugno 2018