UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Anche prof e genitori devono mettersi in gioco»

La rettrice delle paritarie “Malpighi” di Bologna, Elena Ugolini, spiega come è riuscita a recuperare spazi di «socialità»
20 Settembre 2022

«Tra il vietare l’utilizzo del cellulare in classe, peraltro già previsto da un regolamento ministeriale del 2007 e responsabilizzare i ragazzi all’utilizzo degli smartphone, abbiamo scelto una terza via: aiutarci a vicenda a vivere e far diventare la scuola un luogo significativo, più bello e interessante per tutti». Una settimana dopo l’inaugurazione dei cassetti dove studenti e insegnanti depositano gli smarphone all’arrivo a scuola e li ritirano quando suona l’ultima campanella della giornata, la rettrice degli istituti paritari “Malpighi” di Bologna, Elena Ugolini, traccia un bilancio positivo dell’iniziativa. E si stupisce del clamore mediatico che ha suscitato, visto che, come ricorda un sondaggio di Studenti.it, è in atto in almeno il 26% delle scuole superiori italiane.

Come sono andati questi primi giorni “senza connessione”?

Bene. La differenza più rilevante, rispetto a prima, è stata vedere i ragazzi, ma anche i professori, parlarsi e guardarsi negli occhi durante l’intervallo. Tempo che, prima, tutti, giovani e adulti, passavano con lo sguardo fisso sullo schermo dello smartphone.

Perché avete voluto coinvolgere anche gli insegnanti?

Perché i primi a prendere consapevolezza che il cellulare inibisce le relazioni dobbiamo essere noi adulti. Io per prima, visto che, per lavoro, passo gran parte della giornata col telefono in mano e, per questo, sono a volte ripresa dai miei figli.

Non basterebbe tenerlo spento?

C’è poco da fare: una classe con i telefonini negli zaini o sulla cattedra è una classe che scivola inesorabilmente verso la distrazione. E i docenti sono educatori, non guardiani. Con questa iniziativa, peraltro già sperimentata con buoni risultati l’anno scorso in una classe con problemi di bullismo, vogliamo aiutarci tutti a non essere distratti e ad avere uno spazio di lavoro in cui la presenza, il rapporto e la concentrazione siano facilitati. Aiutandoci tutti insieme a creare un rapporto fatto anche di silenzio e di presenza, per riempire di contenuto le mille ore che passiamo, ogni anno, a scuola con i nostri studenti.

I ragazzi come l’hanno presa?

Ci hanno dato fiducia perché hanno capito che in gioco non c’è il rispetto di una regola o di una circolare ministeriale, ma un aiuto reciproco, giovani e adulti insieme, per rendere più belle e intense le ore di lezione.

E come fate senza l’aiuto della tecnologia?

Chiudere gli smartphone in un cassetto non significa affatto rinunciare ad usare la tecnologia e Internet per la didattica. Le Lim funzionano ancora e la Rete è quotidianamente consultata durante le lezioni. Vogliamo che la tecnologia resti uno strumento per potenziare la nostra capacità di apprendimento e non una distrazione. E i primi a farcelo capire sono stati proprio gli studenti, quando, a precisa domanda, hanno risposto che lo smartphone non aiuta la concentrazione in classe. Se, come confermano tante ricerche, davvero il telefonino distrae e toglie energia al rapporto e alla relazione, togliamolo di mezzo.

E quali altre “scoperte” avete fatto questa settimana?

La principale è che si può vivere bene anche senza tenere costantemente lo sguardo fisso sullo schermo. L’altro giorno, al termine delle lezioni, ho incrociato una studentessa che aveva in mano lo smartphone spento. Mi ha stupito e le ho chiesto il motivo. Mi ha risposto che non se n’era nemmeno accorta. E mi ha sorriso, aggiungendo che, anche senza cellulare, a scuola non si annoia. Ecco, forse dovremmo chiederci perché, invece, tanti studenti a scuola si annoiano. Questa è la sfida vera: farli sentire coinvolti e protagonisti. E, invece, ci sono esperti psicologi, come Daniela Lucangeli, che ci dicono, dati alla mano, che il cellulare crea dipendenza e la sua sola presenza, anche se spento, riduce le capacità cognitive.

Paolo Ferrario

Avvenire, 20 settembre 2022