Da quando la scuola è chiusa, a Marco è venuta la tosse. Colpi secchi, nervosi. Mamma Fabiola Marinelli si è subito accorta che qualcosa non andava, che questo cambiamento improvviso di ritmi e abitudini consolidate stava destabilizzando il suo ragazzo. «Marco vive la scuola come grande punto di aggregazione, dove trova una rete di inclusione importante», sottolinea la madre, che racconta le giornate in casa del figlio 18enne, allievo del quarto anno dell’Istituto Sistemi informatici aziendali di Urbania, in provincia di Pesaro e Urbino. Marco è affetto da un ritardo sensoriale per cui viene seguito da un insegnante di sostegno e da un’educatrice. Un rapporto che prosegue anche dopo la sospensione delle lezioni, seppure a distanza. «A mio figlio la tosse passa soltanto quando vede il suo prof nel video del computer», racconta la madre diventata, con l’intera famiglia, un supporto decisivo per fare in modo che il giovane possa continuare a seguire le lezioni e a sentirsi parte del gruppo classe.
«Non lasciate soli i nostri 260mila alunni disabili», ha detto l’altro giorno la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, presentando gli investimenti per la didattica a distanza. Un appello che tanti insegnanti di sostegno hanno raccolto fin dai primi giorni dell’emergenza coronavirus. «Con Flaviana e Rebecca mi incontro tutti i giorni su Google Meet», dice Silvia Lugli, insegnante da 13 anni, da dieci sul sostegno («Ma di ruolo da soli 12 mesi», sottolinea). In servizio all’Istituto professionale “Carlo Cattaneo” di Modena, la docente segue due alunne di prima con un ritardo lieve. «Già il passaggio dalle medie alle superiori è complicato e questa emergenza l’ha reso ancora più difficile, soprattutto per i ragazzi più fragili», ricorda l’insegnante. Che lavora in una scuola con oltre 1.200 studenti, di cui un centinaio con disabilità. «Rispetto a prima, le ragazze mi cercano di più e il collegamento quotidiano è diventato l’appuntamento centrale delle loro giornate», riferisce l’insegnante. «Nell’emergenza che ha travolto la loro routine – aggiunge – hanno bisogno di conferme, di sapere che io ci sono, che la scuola c’è». Così, quando per la prima volta si sono collegate con il resto della classe, la gioia è stata tanta e anche i compagni hanno capito l’importanza di mantenere i contatti, seppure virtualmente. «Pur essendo ancora giovanissimi, i compagni si sono immediatamente responsabilizzati, favorendo l’inclusione di Flaviana e Rebecca nel gruppo classe – conclude la docente –. E questo è sicuramente molto consolante in questi giorni faticosi».
Che sono anche di super-lavoro, come testimonia Daniela Collura, insegnante di sostegno all’istituto superiore “Majorana” di Gela, in provincia di Caltanissetta, dove le sono stati affidati un ragazzo di 19 anni del quarto anno, con un ritardo lieve e una giovane di 17 anni, sempre di quarta, con un ritardo medio-grave. «La mia giornata comincia alla mattina alle 7 e finisce a tarda sera», racconta la docente, che comunica attraverso lunghi messaggi vocali e costante invio di fotografie. «Li incoraggio e li sostengo in molti modi, perché in questa fase il mio ruolo è soprattutto questo: dare coraggio e stare vicino. Far sentire loro che non sono soli», raccolta l’insegnante. Un lavoro che ha bisogno della collaborazione delle famiglie, ricorda Ernesto Ciracì, presidente di Misos, l’associazione degli insegnanti di sostegno abilitati. «L’inclusione scolastica a distanza è la sfida che abbiamo raccolto e che vogliamo vincere – sottolinea –. Non possiamo andare a casa dei nostri alunni, ma genitori e fratelli devono diventare i nostri primi alleati. L’inclusione è possibile. Anche a distanza».
Paolo Ferrario
Avvenire, 18 marzo 2020