La risposta c’è stata: 152 enti (52 in città) tra parrocchie, aggregazioni laicali e religiose e onlus hanno colto al volo l’opportunità data dal Protocollo sull’alternanza scuola–lavoro siglato, a settembre scorso, da Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna (Ceer) e Ufficio scolastico regionale. Protocollo che discende dall’obbligo, previsto dalla legge 107, di alternare, per 200 ore nei licei e per 400 nei tecnici e nei professionale, il fare lezione «intra moenia» con l’«extra moenia».
Un «sì» pieno, che dà frutti, come ha raccontato il convegno sull’alternanza organizzato dalla Ufficio Scuola della diocesi e che ha visto l’intervento di chi vive a fondo questa occasione; come Francesca Sangiorgi, del doposcuola dell’Oratorio di via Torino a San Lazzaro di Savena e Andrea Ferri de «Il nuovo diario», giornale della diocesi di Imola. Testimonianze che hanno fatto il controcanto agli esperti: Stefano Versari, direttore dell’Ufficio scolastico regionale; Alessandra Servidori, docente di Diritto del lavoro e del Welfare e Dario Nicoli, ordinario di Sociologia all’Università Cattolica di Brescia. A moderare Paolo Marcheselli, già Provveditore agli Studi.
L’alternanza, osserva il presidente della Ceer, monsignor Matteo Zuppi, ha il merito di «aprire la scuola alla realtà del mondo del lavoro. Per questo è utile per gli uni per gli altri». Soprattutto per i ragazzi, però, perché è importante studiare in una scuola che «non dà un’istruzione lontana dalla vita, ma che si misura e si confronta con i problemi concreti che già si vivono o che si vivranno». E questo «va nella direzione di una vera educazione». Quanto viene messo in campo quindi ha lo scopo di «cercare di aiutare i ragazzi a pensare che il lavoro sia un diritto e che sia possibile e appassionante».
Vi è, quindi, uno sforzo; un impegno per aprire «un grande spazio di confronto sui temi concreti: quelli che la Chiesa spera di affrontare» anche grazie al «coinvolgimento di tanti, non necessariamente appartenenti ad essa», ma in una logica di «condivisione di queste preoccupazioni» perché così si può procedere nella direzione della «costruzione di una città più a misura d’uomo». Come accade in via Torino a San Lazzaro dove l’oratorio apre le porte a 60 ragazzini delle medie: una sorta di Onu con tanti passaporti colorati e senza muri di fede. Tanto è vero, rivela la referente Francesca Sangiorgi, che qui «vengono cattolici, ortodossi, atei e agnostici». Un luogo senza barriere, dove si sta insieme mangiando il pranzo portato da casa e, nel corso di due pomeriggi dalle 15,45 alle 16,45 si studia affiancati da un gruppo di studenti del liceo Fermi che qui fanno la loro «alternanza»; e anche del liceo Copernico che, invece, svolgono questo volontariato ai fini dei crediti formativi. Un’esperienza gratuita e unica cui guardano con interesse anche il Comune, l’Asl e i due Istituti comprensivi di San Lazzaro, perché offre un’alternativa educativa a ragazzini che altrimenti bighellonerebbero per strada (per info: 3470136321). «Si creano bellissime relazioni – osserva la referente – che vanno oltre l’orologio e il calendario perché durano tutto l’anno». I «grandi» si prendono cura dei più piccoli, ma è anche vero il contrario: si cresce insieme. E al contempo i liceali del Fermi «acquisiscono competenze trasversali»: educative, ma anche formative. Per la vita, insomma. «Siamo una grande famiglia – conclude – affetta da una malattia comune: la passione educativa».
Federica Gieri Samoggia
BolognaSette, 29 aprile 2018
Una sintesi dell’intervento di Dario Nicoli, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Brescia, all’incontro sull’alternanza scuola–lavoro che si è svolto a Bologna il 26 aprile 2018
La chiave per comprendere l’alternanza scuola lavoro si trova nelle risposte dei tutor degli enti cattolici dell’Emilia Romagna al quesito circa l’aspetto formativo dell’esperienza realizzata. Queste sono: «sperimentarsi, mettere in campo risorse personali, capacità e potenzialità di relazione, adattamento e problem solving, capacità di riflessione sulla concretezza e la realtà della vita» e soprattutto «fare qualcosa di bello per gli altri» ed uscirne fortificati. Avete colpito il centro della questione: l’alternanza rappresenta una importante risposta alla sfida educativa e formativa dei nostri giorni, che consiste nell’inserire positivamente i giovani nella realtà affinché imparino dall’esperienza, e soprattutto siano in grado di uscire dalla prigione dell’io e scoprano se stessi in quanto capaci di rispondere al bisogno degli altri e di aggiungere il proprio contributo al miglioramento della vita comune. C’è una notevole assonanza tra questa impostazione e la pedagogia cristiana: il dono agli altri apre ad una conoscenza autentica e fornisce consistenza all’io distogliendolo dalla distrazione e dalla dissipazione. L’operazione dell’alternanza va preparata per tempo, per poter fornire agli allievi le migliori occasioni di apprendimento e di crescita personale, secondo un disegno che valorizzi le qualità culturali e generative dell’ente partner e del contesto in cui è inserito. Si tratta di delineare il «ruolo» dell’allievo, la sua collocazione organizzativa e relazionale, i compiti che gli vengono assegnati, le risorse di cui si avvale con particolare riferimento alla figura del tutor aziendale.
La progettazione si sviluppa in cooperazione con la scuola; essa mira a definire il percorso dell’allievo secondo una progressione per tappe di crescita: colloquio, ingresso, fase iniziale, affiancamento, compiti autonomi semplici, compiti autonomi complessi, project work. Richiede di delineare le modalità dell’accompagnamento offerto dai due tutor e della loro reciproca collaborazione. Il giudizio del tutor aziendale influisce sui voti delle discipline coinvolte e nella condotta; l’elaborato prodotto dall’allievo è decisivo per il buon esito del colloquio dell’esame finale. La rubrica, condivisa con il tutor scolastico, basata su evidenze, è lo strumento appropriato ad una valutazione fondata e meditata. Nella fase finale del percorso va proposto all’allievo un «super compito» che possa costituire il suo Project work valido anche per l’esame finale. È necessario che il tutor aziendale collabori con l’allievo nella documentazione da inserire nell’elaborato finale. L’attestazione finale documenta l’esperienza svolta dall’allievo e la valutazione ricevuta.
Infine, un accenno alla questione degli allievi certificati. Su questa materia è in corso un ripensamento, che tende a distinguere le «vere» certificazioni rispetto a quelle che riflettono un atteggiamento iperprotettivo delle famiglie, degli esperti e delle scuole. Infatti, almeno metà dei giovani certificati non vengono riconosciuti tali nelle esperienze di alternanza quando queste forniscono loro senso di appartenenza e sfide significative con cui misurarsi. Quando si mettono in moto i giovani, essi sollecitano la propria intelligenza nascosta, superano le difficoltà e si fortificano ingaggiandosi in esperienze dotate di valore reale.
Dario Eugenio Nicoli