UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Al lavoro per dare futuro stabile agli atenei e ai giovani studiosi

Lettera ad “Avvenire”: il Paese ha bisogno di un’università più larga, inclusiva e accessibile
10 Luglio 2022

Caro direttore, l’approvazione del Decreto Pnrr contiene una nuova riforma dell’Università. È uno dei fatti politici più importanti dell’intera legislatura. Nessun blitz, come qualcuno ha scritto. Al contrario, l’emendamento di cui sono primo firmatario è il frutto di un lavoro sinergico portato avanti da anni insieme alla ministra Messa, senza la cui volontà e lucidità oggi non avremmo raggiunto un risultato così importante. Questo testo racchiude gran parte degli emendamenti al ddl sul reclutamento universitario attualmente in discussione in Senato dopo la lettura della Camera. Un lavoro tra Parlamento e Governo durato mesi, con il sostegno di tutte le forze di maggioranza, che nasce dall’ascolto delle istanze di migliaia di giovani ricercatori. Una riforma che riguarda il modo in cui poter diventare ricercatori in Italia.

Non si tratta solo del futuro di migliaia di ragazze e di ragazzi, ma del futuro dell’intero Paese che ha bisogno di più ricercatori, di più diritto allo studio, di un’università più larga, inclusiva e accessibile per affrontare sfide enormi: quella del- rivoluzione tecnologica e della conoscenza, di una nuova economia, della trasformazione ambientale, dell’innovazione digitale. C’è una 'questione università', legata al futuro delle nuove generazioni: a troppi è impedito di andare avanti negli studi, perché non lo permettono le condizioni economiche, sociali e territoriali. Il numero degli immatricolati è oggi inferiore a quello di vent’anni fa e questo è inaccettabile.

Quando a un ragazzo è impedito di studiare, o quando un giovane ricercatore è costretto a emigrare, è una sconfitta per il nostro Paese. Giovani ricercatori, prima utilizzati, spremuti, sottopagati e poi, dopo lunghi anni di precariato, quasi tutti espulsi dall’università. «Masticati e sputati», hanno scritto i rappresentanti dei dottorandi. Oltre il 90% dei giovani ricercatori viene tagliato fuori dopo più di dieci anni di precariato.

Tagli ai finanziamenti e norme sbagliate hanno provocato distorsioni enormi, con divari sociali e territo- riali sempre più ampi. Sotto-finanziamento e precariato sono i nemici della ricerca: è emerso con nettezza dall’indagine conoscitiva su condizione studentesca e precariato nelle università e nella ricerca, che abbiamo voluto e nelle cui conclusioni si afferma «la necessità di un intervento normativo che contrasti la dinamica precarizzante indotta dall’attuale sistema».

È quello che abbiamo fatto con il nostro emendamento. Viene finalmente introdotta un’unica figura di ricercatore in preruolo (in sostituzione delle attuali), in un meccanismo di tenure track, cioè con garanzia e certezza di progressione nella carriera, della durata complessiva di sei anni, ma che può portare nel ruolo di associato già dal quarto anno, acquisita l’abilitazione scientifica. È una rivoluzione, per tornare ad avere più docenti e più docenti giovani.

Altra rivoluzione: viene cancellato l’«assegno di ricerca», figura atipica e intermittente che in questi anni ha causato un’insostenibile bolla la di precariato con un uso abnorme e surrettizio che ha mortificato la professionalità e la vita di migliaia di giovani ricercatori.Viene al suo posto introdotto un vero «contratto di ricerca», con tutte le tutele del lavoro subordinato. Un contratto finalmente retribuito secondo gli standard europei più avanzati, che dà recepimento in Italia alla Carta europea dei ricercatori. È una riforma che non volta le spalle a nessuno; anzi prevede un periodo transitorio che riconosce l’attività svolta da Rtda e assegnisti (figure che andranno a scomparire). Sappiamo bene che i nuovi contratti sono più costosi dei vecchi assegni. Ma il lavoro va retribuito.

C’è un modo per non diminuire il numero dei contratti: continuare ad aumentare i fondi per l’università. Questa riforma sta dentro un piano espansivo di investimenti per l’università, con il Fondo di finanziamento arrivato a quasi 8,5 miliardi e che verrà ancora incrementato, soprattutto per la ricerca di base. Si pongono così le basi per un’università più forte, aperta, europea, per tutti e non per pochi privilegiati. Stiamo lavorando per mettere l’università e le nuove generazioni al centro del modello di sviluppo che vogliamo costruire dopo la pandemia.

Francesco Verducci, Senatore Pd, vicepresidente Commissione Cultura e Istruzione

Avvenire, 9 luglio 2022