UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Adolescenti, li conosciamo davvero?»

In una giornata di studio educatori ed esperti hanno indagato la complessità del mondo giovanile. Per costruire insieme il futuro
11 Dicembre 2024

«Stare di fronte a loro senza paura di vederli per quello che sono, senza paura d’essere a volte delusi, senza paura di andarli a incontrare là dove sono».

Don Giacomo Pompei, direttore dell’Ufficio per la pastorale della scuola della diocesi di Macerata, vede una priorità nell’azione pastorale accanto ai giovani: conoscerli nella loro realtà, mettendo da parte i pregiudizi o gli schemi preconfezionati, superando gli aspetti problematici per aprirsi allo stupore della novità. Don Giacomo, come aiutante di studio alla Cei, ha infatti partecipato nei giorni scorsi a Roma al seminario “Come mi conosci?”, un momento di ricerca e riflessione sulla realtà giovanile, organizzato dall’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e dal Servizio nazionale per la pastorale giovanile. Una collaborazione preziosa per comprendere meglio il mondo dei giovani e costruire insieme nuove prospettive. Uno sguardo appassionato che è arrivato attraverso un confronto con i contributi di una decina di ricercatori in diverse materie (sociologia, pedagogia, psicologia, teologia pastorale).

In questa direzione è interessante un’indicazione che è emersa durante un intervento. «Nei ragazzi e nelle ragazze del nostro paese, secondo la ricerca European values studies, è forte la dimensione della ricerca di senso e anche il tentativo di andare un po’ al di là di se stessi. È un dato molto importante - commenta Vera Lomazzi, docente di sociologia generale all’ università di Bergamo - perché lo vediamo in tante dimensioni valoriali, non solo nella dimensione religiosa ma anche nella famiglia, nel lavoro e nell’impegno nella solidarietà». Questa indicazione interpella gli educatori ad assumere uno slancio rinnovato: «Credo sia importante cogliere questa forte richiesta di guida - commenta Lomazzi - che c’è dietro alla ricerca di senso che emerge. Oltre a essere testimoni credibili nei propri ruoli all’interno della comunità, chi educa è fondamentale che proponga esperienze in cui sentirsi riconosciuti come persona, protagonista non solo del proprio futuro ma che attivamente può contribuire al futuro collettivo». La docente lombarda prova a ipotizzare delle direzioni: «Penso in particolare a esperienze concrete di coinvolgimento, informale, su temi significativi per i giovani, come la pace, l’ambiente, la sostenibilità sociale e la lotta alle disuguaglianze, ma anche sperimentare questa attribuzione di senso in forme più strutturate come nelle esperienze di inserimento lavorativo e formazione professionale». Un percorso che inevitabilmente richiede alla comunità educante il coraggio di mettersi in discussione per poter comprendere i giovani con categorie spesso inedite.

«Si può partire dall’offrire più spazio e più tempo ai ragazzi per dare loro parola, far esporre le loro idee, i loro progetti - aggiunge Cecilia Costa, docente di sociologia dei processi culturali all’università di Roma Tre - perché li vediamo spesso bloccati nell’esprimersi. Possono così prendere consapevolezza delle loro potenzialità e assumersi delle responsabilità». Costa vede nei giovani una carica creativa che si può concretizzare in tante direzioni. «Agli adulti è chiesto - prosegue di offrire loro dei contenuti sostanziosi che siano dei riferimenti certi nei loro percorsi, altrimenti in questa società così frammentata il rischio è che i giovani si perdano. Regna una cultura dell’eterno presente che non aiuta a costruire dei progetti. Si agisce sulla contingenza, in base al sentire, ai bisogni immediati». Giovani ripiegati «di fronte a continue ansie da prestazione - dice don Pompei - però non possiamo fermarci lì. Occorre vederli pieni di promesse. Queste promesse ci impegnano e ci danno il senso della nostra responsabilità».

«Spesso - afferma Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università - guardando ai giovani ci fermiamo ai sintomi delle tante manifestazioni di disagio, di dipendenza digitale e invece siamo chiamati ad andare oltre per cercare di intervenire sulle cause, che sono, ad esempio, la solitudine, la mancanza di trascendenza e l’assenza di adulti che siano guide e maestri». Con questo desiderio di fermarsi per pensare e ascoltare la complessità giovanile è stata individuata la collaborazione «tra l’Ufficio della scuola, dell’università e dell’insegnamento della religione - afferma Diaco - che sono luoghi in cui giochiamo fuori casa, nei quali la Chiesa si trova in altri ambienti, in altri contesti e il servizio della pastorale giovanile che a volte magari viene identificato con l’attività interna della Chiesa per i giovani e con i giovani. Possiamo mostrare sempre di più come questi due approcci siano complementari e si debbano integrare per lavorare sempre di più insieme a favore del bene dei giovani».

Aggiunge don Riccardo Pincerato, direttore del Servizio nazionale di pastorale giovanile: «Un seminario che mette insieme più voci, che non per forza sono concordanti, che possono avere anche delle differenze, ci può aiutare a continuare a sognare, a continuare a costruire strade per le nuove generazioni. “Come mi conosci”, scelto come titolo della giornata, rimane allora una domanda aperta e rimane una possibilità che vogliamo offrirci come Chiesa nei nostri territori per continuare a stare in dialogo con la realtà». Il Servizio nazionale durante l’anno sta offrendo alcune proposte di formazione. Le diocesi sono interpellate a mettersi in movimento. «Serve iniziare a studiare - afferma don Pompei - è fondamentale che anche nelle nostre diocesi si attivino percorsi di ricerca, lasciandosi accompagnare in attività di studio, di riflessione, senza aver paura di perdere tempo o di farsi prendere dalla frenesia dell’organizzare. Coinvolgere persone esperte che ci mettano il cuore, che si impegnino a conoscere la realtà delle nuove generazioni. Direi che forse la ricaduta più grande che possiamo prendere dall’occasione offerta è quella di attivare nelle esperienze locali dei percorsi di ricerca per accompagnare la vita dei giovani».

Alberto Gastaldi

Avvenire, 11 dicembre 2024